Non serve l'aureola, basta il sorriso - Live Sicilia

Non serve l’aureola, basta il sorriso

Sono passati diciannove anni dall'assassinio di don Pino Puglisi. Il suo sorriso è rimasto, nel tempo, luminoso e sereno. Come un seme piantato che aspetta il frutto.

L'anniversario
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PALERMO- E’ difficile trovare una foto di Padre Pino Puglisi non sorridente. Chi lo ha conosciuto riferisce che sorrideva a tutti e spesso. Padre Pino sorrise perfino prima di morire, con una pistola spianata davanti al volto. E fu quello stesso sorriso che divenne croce e delizia per Salvatore Grigoli, l’assassino di Padre Puglisi: “C’era una specie di luce in quel sorriso, raccontò Grigoli anni dopo, che mi aveva dato un impulso immediato. Quella sera cominciai a pensarci, si era smosso qualcosa”. Sono passati diciannove anni.

Forse Grigoli non avrebbe potuto usare verbo più adatto per definire l’azione innescata dal sorriso di Padre Pino: è lo stesso che nei Vangeli Gesù utilizza per descrivere la forza della fede, quella fede che smuove le montagne e fa trapiantare il gelso in mare. E in fondo la fede non è forse sorridere a Dio, sorridere agli uomini e al mondo? Il sorriso è per antonomasia segno di tranquillità e fiducia, quale migliore icona per spiegare la fede. Il sorriso di Padre Puglisi era il segno più evidente della sua fede profonda e vera. Se un giorno qualche artista vorrà cimentarsi in un dipinto o in una statua del futuro beato non dovrà certo ricorrere alla classica aureola, basterà un sorriso ad opera d’arte per capire che si tratta di un santo.

E c’è da augurarsi che santini e statue, che naturalmente verranno dopo gli onori degli altari, conservino quel sorriso contemporaneamente umano e divino, perché in quel semplice movimento dei muscoli del volto c’è la fede di don Pino, c’è la sua santità ma c’è anche un messaggio per la Chiesa e gli uomini di buona volontà.

La Chiesa di Palermo che spesso si affanna a cercare metodi e piani pastorali e che dibatte sulla nuova evangelizzazione forse farebbe bene a ritrovare la semplicità del sorriso di don Pino, e a riscoprirsi gioiosa, accogliente e limpida. Solo così potrà smuovere montagne e soprattutto cuori. Ma questo sorriso non è patrimonio solo dei credenti, è patrimonio di tutti, dell’intera città. Palermo non sorride più da tempo, è indurita dalla rabbia e dal dolore e divorata dal pessimismo. E’ necessario che i palermitani riscoprano il sorriso di don Pino, il sorriso degli uomini di buona volontà, di coloro che insieme al prete di Brancaccio dicevano: “e se ognuno fa qualcosa”. Se ognuno fa qualcosa, se ognuno torna a sorridere al prossimo e anche alle avversità, se tutti riusciamo a ritrovare ciò che di buono e giusto c’è nel profondo di questa città, allora Palermo tornerà a sorridere, Palermo tornerà felicissima.

L’OMELIA DEL CARDINALE ROMEO
“Don Pino Puglisi, da sacerdote, continuò ad essere sempre discepolo. Fuggendo dalle logiche di successo, di consenso, di carrierismo, di affermazione. Riconosceva in esse un ostacolo al cammino di Cristo nella storia del mondo, e una tentazione di divenire autoreferenziali e tronfi, non più discepoli che seguono il Maestro, ma “maestrini” impantanati nelle sabbie mobili dell’egoismo”. Lo ha detto l’arcivescovo di Palermo, monsignor Paolo Romeo, durante l’omelia in cattedrale, dove sono stati ordinati quattro sacerdoti. “Il suo discepolato nei 33 anni di sacerdozio si è compiuto in modo mirabile nel suo martirio – ha aggiunto Romeo – Il sorriso e la serenità di don Pino, in piazzale Anita Garibaldi, 19 anni fa, furono ancora quelli dell’appassionato discepolo e sacerdote di Cristo”. Romeo ha invitato i neo sacerdoti a guardare “all’esempio di don Pino”. “Il giorno in cui il cardinale Pappalardo gli proponeva il trasferimento a Brancaccio, all’uscita dall’episcopio – un amico medico, che aveva saputo della nuova missione, affettuosamente gli domandava ‘Peppinu, si’ cuntentu?’. Don Pino rispondeva con semplicità e convinzione: “Al Cardinale non avrei mai potuto dire di no!”. “L’opera di don Pino e di quanti lo collaborarono fu sempre animata dalla fede – ha ricordato il cardinale – Ma questa fede la mostrò apertamente in quelle opere che dalla stessa fede scaturivano. Per questo la mafia non poteva stare tranquilla: la fede di don Pino usciva dalla chiesetta di Brancaccio e rischiava di cambiare la realtà facendosi lievito di novità sulla strada. La mafia fu infastidita da questa ‘fede pericolosa’, che altro non fu se non una ‘fede incarnata’. Nell’imminente apertura dell’Anno della Fede indetto dal Santo Padre Benedetto XVI, il martire don Pino ci sta davanti non per canonizzare l’antimafia, non come l’esempio di una “santa antimafiosità”, ma come esempio di un presbitero, che è discepolo innamorato di Cristo”.

 

 


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