Il palazzo, di notte, mette paura. Di giorno gli passi accanto dieci volte, lo sfiori senza pensarci, lo circondi con occhiate distratte. Ma stanotte, in questa notte che sembra buia e tempestosa, pur col cielo terso, le parole della cronaca recente e passata si uniscono all’oscurità. E il palazzo fa paura. Raggela, come la villa di Dario Argento in “Profondo rosso”. Tre fatti di sangue. Irene Tagliavia col cranio fracassato. Maria Pia Augello straziata. Giovanni Cascio ucciso da una banale caduta o chissà. E’ avvenuto tutto nel cuore del civico 172 di via Mariano Stabile. Irene al terzo piano. Maria Pia al secondo, forse. Di Giovanni restano il nome e il cognome sul citofono.
Il destino normale delle case è quasi tranquillo, attorniato da portieri affaccendati, liti condominiali, ascensori rotti, scale sporche. Ma quando ci sono due delitti e un morto di origine incerta il clima dello spirito che soffia in ogni abitazione cambia. I corridoi sono malsicuri. Le scale offrono ombre tinteggiate di sobbalzi, gli ascensori possono essere trappole mortali.
E’ la suggestione che dilata la cronaca e la spinge molto oltre il ragionevole. La casa non appare più né dolce, né accogliente. E’ un elemento estraneo, un sicario nascosto.
Stanotte davanti al palazzo che non si libererà più dell’aggettivo “maledetto” ci sono alcuni giovani palermitani. Sono in transumanza verso la Champagneria con i suoi drink serviti in brutti bicchieri di plastica, perché di plastica sono gli svaghi a Palermo. Si fermano per un capannello attraversato da deliziosi guaiti di terrore. Uno sussurra: “Per me c’è qualcosa lì dentro”. Un altro annuisce e rincara: “Forse il killer è un residente, uno a cui piace ammazzare i vicini”. “Sì – riprende il primo – gli piace da morire”. Ridono. Si disperdono. La Champagneria aspetta. Altri indicano col dito il vecchio stabile che pare un maniero diabolico. Di suo, il palazzaccio non fa nulla per apparire meno lugubre delle aspettative di chi lo cerca. Candelabri strani sui balconi. Gerani che vorrebbero ravvivarne i lineamenti e somigliano a crisantemi avvizziti. Tra le persiane socchiuse si intravvedono i minacciosi affreschi di un soffitto altissimo. Qualcosa come una vela al vento che somiglia a una lama acuminata. I carabinieri sorvegliano discretamente l’ingresso. Sul portone austero ci sono affissi gli avvisi di due “Affittasi”. Sarà un caso?
Siamo già nel luogo mitologico delle leggende metropolitane. Il civico 172 di via Mariano Stabile, come la villa fantasma di Mondello, di cui si narrano clamorose apparizioni ultraterrene e banchetti tra comitive di fantasmi, o il garage di via Arimondi teatro di un feroce omicidio. Un’agonia pietosa e terribile. Ecco il domicilio cangiante del male, secondo l’immaginazione, con tanto di indirizzo e campanello. Ecco i ritrovi del sangue e della violenza attaccati alle pareti per trasformarsi in destino, in ripetizione del lutto. E’ maggio e la pelle vibra di un freddo surreale. I carabinieri sono attenti, perché nell’aria c’è qualcosa.
Poi, due ragazzi sbucano dal portone improvvisamente. Escono dall’atrio del 172 e non hanno l’aria di una fuga dall’Inferno. Si baciano. E tutta la scenografia mentale da “Profondo rosso” cade, esorcizzata da un gesto di tenera consuetudine amorosa.
E’ appena un palazzo con le finestre socchiuse, un vecchio, bellissimo, tetro arnese. Ci sono stanze e persone. E in tutte le case degli uomini, di notte o di giorno, tra scale, corridoi e ascensori, la morte prepara sempre il suo sgambetto. Come la vita.
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