Nubifragio in viale dell'Olimpo | Come sono 'sopravvissuto' - Live Sicilia

Nubifragio in viale dell’Olimpo | Come sono ‘sopravvissuto’

Mondello sott'acqua. Il reportage dalla borgata.

PALERMO– La signora nella macchina accanto alla mia – la intravvedo appena in un delirio di pioggia e lampeggianti – sembra terrorizzata. Ora posso vederla meglio, in una tregua concessa dal temporale. Ha le mani strette intorno al volante, le labbra serrate in una smorfia, gli occhi allucinati.

E ha ragione. Siamo prigionieri di una rotonda, in viale dell’Olimpo, Mondello, Palermo, sotto una bomba d’acqua inclemente, sulla via del ritorno serale. E abbiamo paura. Provo ad annotare freddamente quello che scorgo, quello che so. Piove. Non si cammina. Le auto dei malcapitati come me sono accatastate l’una sull’altra. Il fiume sale verso gli sportelli. Le quattro frecce accese ovunque lampeggiano con fitte dolorose negli occhi. I lampi accecano. I tuoni scoppiano. Ci manca solo il Titanic e saremmo credibilissimi come interpreti di un film tragico e bagnatissimo. Chissà se fra di noi, a prua o a poppa di questo serpentone di lamiere, c’è un capitano Smith.

Ero partito dalla redazione un’ora prima. Il cielo era grigio. Cadeva un po’ di pioggia. Ed eccoci qua, reclusi dalla rotonda, da viale dell’Olimpo e dalla pioggia: un popolo di dannati. L’acqua arriva ormai a metà sportello. E continua a salire. Da come i miei compagni di pena, intorno, compulsano i telefonini, comprendo che da casa stanno partendo messaggini angosciati. Anche da casa mia mi cercano e chiamano al cellulare. Sono fermo. Rispondo con estrema calma, dandomi aiuto col sangue freddo, come Di Caprio. Ma dentro di me ho paura. Abbiamo paura.

La pesantezza della situazione si capisce dall’ordine del traffico. Non c’è nessun palermitano che si affidi all’estro per svicolare. Siamo incolonnati, zitti e immobili, manco fossimo a Londra. Abbiamo paura. Tutti.

In questi casi che fai? Devi evitare la crisi claustrofobica di panico. La signora nella macchina di fianco alla mia ha le mani giunte. Prega. Io canticchio la Boheme. Certo, non è che sia proprio una trama leggera, perché alla fine Mimì muore. Ma concentrarsi sulle tragedie immaginarie – molte volte l’ho imparato – distrae dai guai veri. Piove, piove, piove. Passa un poveraccio in bicicletta. Gli faccio cenno: la ospito? Lui va oltre con uno sguardo eroico. Piove, piove, piove. Le linee dei vigili sono intasate. Piove, piove, piove. In lontananza appaiono nuovi lampeggianti. L’acqua è sempre a meta sportello. Tuona. Abbiamo paura.

Ma se sono qui a raccontare la storia – come Ismaele di Moby Dick – significa che ce l’ho fatta, non so come, passetto dopo passetto, ruota dopo ruota, mentre Mimì agonizzava e moriva. Il telefonino ronza. Un amico che era nelle mie stesse condizioni e nello stesso luogo, anche lui, ce l’ha fatta. Ora manda un laconico messaggio: “Sono sopravvissuto”.

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