Condanna a 30 anni per Capone | Uccise la moglie dandole fuoco - Live Sicilia

Condanna a 30 anni per Capone | Uccise la moglie dandole fuoco

Nonostante la Cassazione abbia escluso la premeditazione, annullando la prima sentenza in appello, la Corte d’Assise d’Appello di Catania ha riconosciuto l’aggravante nell’omicidio di Maria Rita Russo.

il verdetto
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CATANIA. Dopo poco più di un’ora di camera di consiglio la Corte d’Assise d’Appello di Catania, presieduta da Antonio Giurato, ha pronunciato in aula una nuova sentenza di condanna a 30 anni per Salvatore Capone, accusato dell’omicidio premeditato della moglie, Maria Rita Russo, data alle fiamme nel novembre del 2009 a Giarre, del tentato omicidio premeditato dei due figli minorenni, e di incendio doloso. Nonostante la Cassazione, nel maggio dello scorso anno, avesse annullato la precedente sentenza in appello a 30 anni, limitatamente all’aggravante della premeditazione, i giudici d’appello hanno riconfermato l’aggravante della premeditazione per l’omicidio, escludendola invece per il duplice tentato omicidio, comminando la stessa condanna. Accolte così le richieste del procuratore generale Concetta Maria Ledda e dei legali di parte civile, che avevano chiesto alla Corte proprio il riconoscimento della suddetta aggravante. Ma questa sentenza, la quarta pronunciata, non mette la parola fine a questa tragica vicenda. Già si preannuncia un nuovo ricorso in Cassazione.

LE ARRINGHE. Guardare ai fatti con oggettività e non lasciarsi colpire da tesi suggestive, che poco hanno a che vedere con i fatti. Così i due difensori di fiducia dell’imputato, Enzo Iofrida e Giovanni Spada, si sono appellati ai giudici della Corte, provando a smontare pezzo dopo pezzo tutte le accuse sollevate dal procuratore generale e dai legali di parte civile. E’ soprattutto sulla premeditazione che si concentra l’attenzione dei legali. Per Enzo Iofrida nessuna traccia o elemento agli atti lascerebbe presupporre che Salvatore Capone abbia premeditato l’uccisione della moglie. Per il legale si tratterebbe chiaramente di un delitto d’impeto, non causato da una violenta discussione tra i coniugi, non avvertita da alcun vicino di casa, ma da una frase piccata rivolta al risveglio da Maria Rita Russo al marito, accusato di aver voluto presenziare a tutti i costi, la sera precedente, ad una serata organizzata dai parenti della vittima. Senza logica, secondo Iofrida, la tesi sostenuta dai legali di parte civile che avevano ipotizzato la presenza della benzina in casa, e non nel garage. Se così fosse stato, ha detto il legale dell’imputato, non avrebbe avuto alcun senso utilizzare prima l’alcol. Stessa tesi anche per il codifensore Giovanni Spada che ha sottolineato come prima il Riesame, e poi la Cassazione abbiano già bocciato la tesi della premeditazione. L’azione disorganizzata e sconclusionata, condotta dall’imputato la mattina dell’omicidio, dimostrerebbe che nulla era stato preordinato, requisito fondamentale per ipotizzare l’aggravante. Anche la scelta del mezzo per uccidere, il fuoco, gettato tra l’altro non su parti vitali della donna, dimostrerebbe che si è trattato di un delitto d’impeto. Al termine delle arringhe i difensori di Capone hanno chiesto l’esclusione dell’aggravante della premeditazione, nell’omicidio di Maria Rita Russo e nel tentato omicidio dei figli, e la concessione delle attenuanti generiche nella loro massima estensione.

LE REAZIONI. Un lungo abbraccio in aula, subito dopo la lettura della sentenza, allenta l’evidente tensione nei familiari di Maria Rita Russo, presenti a tutte le udienze. “Ci credevo e speravo in questa sentenza – dichiara Maria Celeste Vasta, madre della vittima – Ma credo soprattutto nella giustizia divina. Mia figlia è stata non solo uccisa ma straziata”. Per Cetty Russo, sorella di Maria Rita, non si può parlare di soddisfazione. “Nessuna sentenza – spiega – potrà mai restituirmi mia sorella. Sono soddisfatta per quanto si possa esserlo in questi casi”.

Un caso complesso dal punto di vista giudiziario e dal grande impatto emotivo. “E’ stata una causa difficile e complicata – dichiara Enzo Mellia, uno dei quattro legali di parte civile – che abbiamo affrontato per spirito di solidarietà umana e civile”. Adesso l’attesa per i legali della difesa è per le motivazioni della sentenza.

“Nonostante le chiare indicazioni della Suprema Corte – affermano i difensori di Salvatore Capone, Enzo Iofrida e Giovanni Spada – la Corte d’Assise d’Appello di Catania ha confermato la condanna a 30 anni. Attenderemo le motivazioni prima di ricorrere nuovamente in Cassazione e verificare cosa ne penseranno i giudici della Suprema Corte di questa pronuncia che a primo acchito – concludono i legali – lascia stupiti, laddove conferma integralmente la prima sentenza in appello già annullata dalla Corte di Cassazione”.


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