Obesità, il 2024 è l'anno della svolta: verso il riconoscimento della malattia

Obesità, il 2024 è l’anno della svolta: verso il riconoscimento della malattia

Interviene la professoressa Lucia Frittitta, dell'Arnas Garibaldi
LA GIORNATA MONDIALE
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CATANIA – L’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale. Secondo gli esperti del World Obesity Day, entro il 2035, 1 persona su 4 sarà affetta da obesità e, tra il 2020 e il 2035, l’obesità infantile nel mondo aumenterà del 100%. Per questo, il tema internazionale della giornata contro l’obesità del 2024 è la condivisione. Dicono gli esperti: “Una strategia universale per ogni persona non sarà mai la soluzione. Bisogna guardare alla salute, ai giovani e al mondo che ci circonda per vedere come affrontare al meglio il problema dell’obesità”. 

Sul tema, abbiamo intervistato la prof.ssa Lucia Frittitta, direttrice del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Catania e Responsabile UOSD Centro Antidiabete e cura dell’Obesità, P.O. Garibaldi Nesima, ARNAS Garibaldi, Catania.

Come combattere l’obesità? E quali le innovazioni terapeutiche?

“Per combattere l’obesità purtroppo non sempre è sufficiente cambiare il proprio stile di vita o solo l’alimentazione a volte, nei casi più gravi, si rende necessario il ricorso alla chirurgia bariatrica. Tuttavia, bisogna sottolineare che proprio il 2024 sarà un anno di svolta per la lotta all’obesità. Oggi, infatti, esistono terapie farmacologiche in grado di trattare l’obesità con buoni risultati. Farmaci come semaglutide e tirzepatide, quando associati ad una corretta alimentazione e attività fiisca, hanno dimostrato una riduzione di perdita di peso (addirittura fino al 20%) e nel caso di semaglutide anche una riduzione degli eventi cardiovascolari. Essi agiscono sia sul sistema nervoso centrale che a livelli degli organi periferici quali il pancreas e l’apparato gastro-intestinale. Al momento questi farmaci non sono ancora in commercio in Italia ma lo dovrebbero essere entro la fine dell’anno”.

L’obesità è una malattia?

“Assolutamente si. Il problema è che siamo abituati a pensare che l’obesità sia legata ad un alterato comportamento delle persone, ovvero semplicemente che il paziente diventi obeso perchè mangia troppo. In realtà, non è cosi. L’obesità è una malattia e il paziente con obesità non è colpevole del suo comportamento ma ha una patologia. Meccanismi genetici, molecolari e ormonali determinano i nostri comportamenti  e regolano il metabolismo degli alimenti. L’eccesso di peso corporeo inoltre si trascina dietro più di 200 complicanze (osteoarticolari, cardiovascolari, respiratorie e persino oncologiche). Pertanto, se riuscissimo ad agire in tempo sulla causa saremmo in grado di evitarne le conseguenze. L’obiettivo è quindi prevenire o curare la causa principale, cioè l’eccessivo accumulo di grasso, ed evitare la comparse delle malattie correlate. 

Di recente, l’Intergruppo Parlamentare Obesità, diabete e NCDs ha presentato una proposta di legge per riconoscere l’obesità come una malattia. Cosa ne pensa?

“Si la proposta è attualmente in discussione presso la Commissione Affari Sociali del Parlamento e si tratta di un intervento che intende riconoscere l’obesità come una vera e propria malattia così da affrontarla come una priorità nazionale. Sarebbe sicuramente un passo avanti per sostenere i pazienti e anche le loro famiglie. Consentirebbe anche al paziente con obesità di ricevere trattamenti supportati dal sistema sanitario e di certo sarebbe un cambio di rotta epocale considerato che circa il 10-12% della popolazione italiana è obesa. Si potrebbe anche pensare ad incentivi economici per il sostegno di stili di vita più sani o ad incentivi per percorsi sportivi, così da aiutare anche le famiglie con difficoltà economiche ad intraprendere percorsi di benessere e attività fisica. Lo sport non dovrebbe essere un lusso solo per alcune famiglie. E non dobbiamo dimenticare che è proprio la sedentarietà una delle cause principali dell’obesità infantile”.

Si parla spesso “body shaming”, ovvero la forma di violenza che sfrutta l’insicurezza corporea e si traduce in offese che si concentrano sull’aspetto fisico. Quale confine è stato superato secondo lei?

“Bisogna eliminare lo stigma che ci porta a pensare che la persona obesa sia una persona che agisce per sua volontà. Spesso, ci ostiniamo a pensare che l’obesità sia frutto di comportamenti errati che agiscono nel tempo. In realtà, la scienza ha dimostrato che anche il fattore genetico influisce enormemente sull’obesità. Tuttavia, quando si continuano a propinare modelli femminili o maschili esageratamente magri o longilinei è davvero difficile pensare ad un cambiamento sociale importante su questi temi. Se ne parla ormai dagli anni 90′ e, a parte osservare qualche voce fuori dal coro (penso a qualche brand importante che ha portato in passarella ad esempio anche le cosiddette donne over), i modelli rappresentativi più diffusi, soprattutto oggi tramite i social network, sono sempre gli stessi e per gli adolescenti (le vittime principali di questo tipo di bullismo) è davvero difficile stabilire un confine ben chiaro e accettare modelli differenti come soggetti da emulare.

I dati del 2023 dimostrano un aumento esponenziale dell’obesità infantile. Addirittura la stessa OMS ha recentemente invitato tutti i paesi, anche quelli a basso e medio reddito, ad avviare azioni di salute pubblica volte a ridurre l’incidenza dell’obesità infantile. Come si può agire sul tessuto sociale per combattere questa piaga?

“Noi in realtà, già a Catania tra il 2000 e il 2010, grazie ad uno studio epidemiologico lanciammo l’allarme di un aumento dei casi di obesità infantile, quasi il doppio in soli 10 anni. Agire sul tessuto sociale è di grande importanza. Ci sono diversi studi che dimostrano un chiaro dislivello tra alcune regioni italiane. Le regioni del sud sono quelle in cui la prevalenza dell’obesità infantile è maggiore, mentre al nord la prevalenza è minore. Non si può ancora stabilire il perché di queste differenze ma sicuramente evitare cibi confezionati ed ultraprocessati e preferire alimenti naturali, insieme ad adeguati livelli di attività fisica, potrebbe essere già una buona soluzione. A tal proposito, proprio la nostra struttura del Garibaldi sta partecipando al progetto dell’Università di Catania “On Foods”, finanziato dal PNRR, al quale partecipano 26 organizzazioni internazionali pubbliche e private per analizzare per lo sviluppo sostenibile dell’alimentazione e della nutrizione”.


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