I sospetti sulle parole del "carateddu" e quella impronta digitale VIDEO - Live Sicilia

I sospetti sulle parole del “carateddu” e quella impronta digitale VIDEO

Rosario Cinturino è stato strangolato il 28 marzo 1990.
CORTE D'ASSISE
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Catania. Colpevole. Per i giudici della prima sezione della Corte d’assise di Catania fu Rosario Guzzetta, cinquantatreenne, a togliere la vita, strangolandolo all’interno di una Fiat Panda, Rosario Cinturino, per contrasti legati ai proventi di una partita di droga, il 28 marzo 1990. Per questo Guzzetta è stato condannato questo pomeriggio a 21 anni di reclusione.

I giudici della Corte, presieduta da Sebastiano Mignemi, hanno dunque accolto la tesi dei pubblici ministeri, il procuratore aggiunto di Catania Ignazio Fonzo e la sostituta Alessandra Russo, che hanno anche coordinato le indagini. Si tratta di una sentenza di primo grado – va ricordato – e al deposito delle motivazioni inizieranno a decorrere i termini per eventuali ricorsi in appello da parte del difensore dell’imputato.

I giudici hanno inflitto all’imputato le sanzioni accessorie dell’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante l’esecuzione della pena, oltre a condannarlo al pagamento di provvisionali da 50 mila euro in favore di ciascuna delle quattro parti civili, familiari della vittima. Il caso sarebbe rimasto senza un colpevole se quattro anni fa, a distanza di quasi trent’anni dal delitto, non fosse giunta una svolta dai riscontri della Polizia Scientifica, che chiese alla Procura catanese di riaprire quello che ormai era divenuto un “cold case”, analizzando e comparando con le impronte nei database quelli che erano stati repertati come “due frammenti di impronte papillari”. Uno dei due, in effetti, corrisponde al “pollice della mano sinistra di Rosario Guzzetta, che era stato ‘fotosegnalato’ nel dicembre del 1984 per rapina”.

A quel punto l’accusa dovette superare un altro ostacolo, perché all’epoca del delitto Guzzetta risultava detenuto, nell’ambito di una prolungata detenzione dal 1986 al 1992. Peccato per lui che la Procura e la Squadra Mobile di Catania decisero di andare fino in fondo e quindi risalirono ai documenti della casa circondariale di Nicosia, dove era stato detenuto, scoprendo che la data del delitto rientrava proprio tra gli ultimi giorni di un permesso premio che aveva ottenuto. L’accusa, va sottolineato, oltre all’impronta digitale si è avvalsa delle intercettazioni, che hanno captato delle conversazioni in cui il presunto assassino, parlando con una terza persona, spiega di aver ucciso Cinturino perché gli doveva, a suo dire, dei soldi. In un’altra conversazione si interroga sulle ragioni per cui lo abbiano incastrato dopo tutto questo tempo e incolpa, non sapendo che non c’entrava niente, un pentito del clan Cappello, detto “u carateddu”.


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