Il processo per l'omicidio Mazzè| Il super testimone si contraddice - Live Sicilia

Il processo per l’omicidio Mazzè| Il super testimone si contraddice

Fabio Chianchiano e Franco Mazzè

L'ambulante Pasquale Romito ha cambiato versione sull'agguato mortale allo Zen. Ecco cosa ha detto.

PALERMO – Doveva essere un super testimone. Lo avevano convocato per fare chiarezza. Ed invece ha finito per offrire una versione opposta a quella che lui stesso aveva reso. Una versione che andrebbe contro gli esiti degli accertamenti scientifici.

Il processo è quello sull’omicidio di Franco Mazzè, crivellato di colpi per le strade dello Zen nel marzo dell’anno scorso. Il testimone è Pasquale Romito, un venditore ambulante di olive che avrebbe assistito all’agguato. Sentito nella fase delle indagini preliminari disse di avere visto i killer fare fuoco prima di cercare riparo. Stefano Biondo e Fabio Chianchiano, i due presunti killer, sono accusati di omicidio, detenzione illegale di armi e di avere sparato contro l’abitazione di Michele Moceo, amico di Mazzè che sarebbe stato il secondo obiettivo del commando. Di favoreggiamento rispondono Rosario Sgarlata e Claudio Viviano. La posizione di altre tre persone è stata stralciata dopo che il giudice per le indagini preliminari negò l’arresto. Su di loro le indagini non si sono fermate.

Romito in aula ha cambiato versione, sostenendo di avere visto Mazzè esplodere per primo dei colpi di pistola contro coloro che lo uccisero. Le analisi sulla mano e sugli abiti della vittima, però, hanno escluso la presenza di tracce di povere da sparo. Mazzè, dunque, non ha sparato. E le prime dichiarazioni di Romito? Il testimone si sarebbe spinto a sostenere che si tratterebbe di suggerimenti da parte dei poliziotti.

La versione resa in aula cozzerebbe pure con quella ricostruita dagli inquirenti grazie alle intercettazioni alla squadra mobile. Il giorno in cui venne convocato negli uffici della polizia le microspie captarono le sue conversazioni con i parenti di Chianchiano nel corso delle quali non disse mai che Mazzè aveva fatto fuoco.

Chianchiano è reo confesso del delitto della domenica delle Palme. Il movente dell’omicidio, secondo il pubblico ministero Calogero Ferrara, sarebbe frutto di vecchi dissapori. Mazzè avrebbe potuto morire dieci anni fa per mano dello stesso Chianchiano. Una storia di fidanzamenti incrociati degenerò in violenza. Prima Mazzè spezzò il braccio a Chianchiano che l’aveva appellato “cornuto e sbirro”. Poi, Chianchiano reagì sparando dei colpi di pistola contro il rivale mentre era in sella ad una moto guidata da un complice. Vecchi dissapori divennero nel tempo scontro aperto per la gestione degli affari sporchi nel rione quando entrambi i contendenti furono assoldati da Cosa nostra. Per un po’ sono rimasti sopiti grazie alla mediazione di altri pezzi grossi. Fino al marzo 2015, alla lite in un bar fra Chianchiano e uno dei fratelli Mazzè e poi all’agguato.


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