PALERMO – “Neanche un animale, neppure un cane viene trattato così”. Rosa Anaclio scoppia in lacrime quando ricorda la macabra sorte toccata al marito, Antonino Zito. Ucciso a pistolettate e poi bruciato.
Sotto processo ci sono Pietro Mazzara, Carmelo Ferrara e Maurizio Pirrotta. Sono accusati di omicidio e distruzione di cadavere. Zito, 32 anni, fruttivendolo del rione Falsomiele, fu freddato il 18 dicembre del 2012 con un colpo di pistola alla testa, esploso mentre era seduto o inginocchiato. Il corpo venne ritrovato distrutto dalle fiamme in contrada Spedalotto Valdina, a Santa Flavia.
“Vado alla camera mortuaria. Non me lo volevano fare vedere – ricorda la donna nel corso della drammatica deposizione in Corte d’assise -, ma io l’ho voluto vedere, era mio marito, lo dovevo vedere”. La commozione le impedisce di proseguire. Il presidente è costretto a sospendere la deposizione. Dieci minuti dopo si torna in aula. Rosa Anaclio risponde alle domande del pm Bonaccorso e rompe lo schema del silenzio tipico del mondo in cui è maturato l’omicidio del marito che di quel mondo faceva parte. Zito era stato scarcerato pochi mesi prima del delitto. In carcere c’era finito tre volte fra il 2008 e il 2010 per spaccio di droga, ricettazione e rapina. Libero grazie all’indulto non aveva perso tempo per rimettersi nel giro della criminalità.
La donna, parte civile al processo con l’assistenza dell’avvocato Monica Genovese, sapeva tutto e non esita a ripeterlo in aula: “Aveva avuto contrasti con Mazzara per il controllo dello spaccio. Mazzara si voleva appropriare della piazza. Me lo ha raccontato mio marito. Dopo la sua morte se l’è presa questo Mazzara”. Mazzara ascolta le sue parole in silenzio. Parecchio rumorosa, invece, è la reazione dei parenti degli imputati. Il presidente Marino è costretto a farli allontanare dall’aula. “Sono stati loro, se lo sono venduti”, prosegue la donna, ripetendo quando detto poche ore dopo il ritrovamento del cadavere. Mentre il corpo del marito era all’obitorio del Policlinico, Rosa Anaclio si avvicinò a Pietro Mazzara che “era lì con un gruppo di amici” e lo prese a schiaffi: “Perché non lo dici che sei stato tu l’ultimo a vedere mio marito”. Adesso aggiunge: “Io l’ho schiaffeggiato, ho saputo che era stato con lui fino all’ultimo, era uno de suoi amici. Lo so, sono stati loro. Ero a casa e lui non tornava. Avvertiva sempre. Lo abbiamo cercato tutta la notte. Poi, ho saputo che aveva preso fuoco la baracca”.
Il riferimento è al chiosco di bibite, gestito da Ferrara, all’incrocio fra le vie del Levriere e del Bassotto, nel quartiere Bonagia dove il delitto sarebbe stato consumato. Le indagini sono partire da quella struttura in legno. O meglio, da ciò che restava di essa, misteriosamente data alle fiamme poche ore dopo il delitto. È il posto dove la sorella di Zito, Angela, ha visto per l’ultima volta il fratello, poche ore prima della scomparsa. Era alticcio.
Rosa Anaclio ripercorre le tappe del dramma familiare di giovane vedova – ha 35 anni – costretta a crescere da sola tre figli. Racconta di essere venuta in aula con la convinzione di “dire tutto davanti al giudice”, anche perché “dovevo difendere l’onore di mio marito”. Si era sparsa, infatti, la voce che il marito avesse “inquietato” la moglie di un detenuto. “Lo hanno messo in mezzo”, taglia corto la donna. Spacciatore, pregiudicato, morto ammazzato: tutto vero, ma Antonino Zito era uno che rispettava la moglie.