"Ho cominciato a sparargli..." | Omicidio Mazzè, confessione choc - Live Sicilia

“Ho cominciato a sparargli…” | Omicidio Mazzè, confessione choc

Fabio Chianchiano e la pistola del delitto

Fabio Chianchiano all'inizio ha provato a difendersi dall'accusa di avere ammazzato Franco Mazzè per le strade dello Zen. Poi, incalzato da pm e poliziotti, ha ricostruito la mattinata di follia alla periferia di Palermo.

PALERMO – “Sì sono colpevole però per legittima difesa… perché lui era armato… Sono stato più fortunato di lui, il Signore ha voluto che lui morisse ed io campassi”. Fabio Chianchiano all’inizio ha provato a difendersi. A scrollarsi di dosso l’accusa di avere ammazzato Franco Mazzè per le strade dello Zen.

Poi, incalzato dalle domande del pubblico ministero Calogero Ferrara e dall’evidenza delle indagini dei poliziotti della Squadra mobile e del commissariato San Lorenzo, Chianchiano, in lacrime, ha deciso di confessare. Perché sul momento, subito dopo il delitto, “non ho avuto rimorso, però ora mi sento così perché penso alla mia famiglia, solo per questo”.

Il verbale ora è stato depositato al Tribunale del Riesame e ricostruisce la giornata di Chianchiano, che il 30 marzo scorso inizia in un’agenzia di scommesse dove incontra Stefano Biondo “che praticamente siamo amici ed anche compari, abbiamo deciso di andarci a prendere un caffè al bar”. Biondo è stato arrestato insieme a Chianchiano. Gli investigatori lo piazzano al volante della Fiat Panda blu utilizzata per uccidere Mazzè e per raggiungere l’abitazione di Michele Moceo contro cui lo stesso Chianchiano sparò una raffica di colpi. È al bar Barbara che scoppia la rissa che segna l’avvio della catena di avvenimenti culminata nel sangue: “Da lì mentre sorseggiavo il caffè è nato questo litigio con Vincenzo Mazzè, che praticamente è uno che rompe… praticamente è una persona che istiga sempre le persone e si era preso con Biondo Stefano per cose. . . sono intervenuto io e l’ho ripreso aspramente”.

La lite scoppia perché nel cuore dello Zen se dai dello “sbirro” a qualcuno devi assumertene la responsabilità: “… diceva a tutti tu si spiuni ed iddi su buoni, tu si spiuni, tu si carabinieri ed iddu su buoni ca poi i spiuni su iddi”. Dalla parole ai fatti: “Lui è sbiancato di faccia e gli ho detto ma che fa sbianchi con me? Lui ha preso e mi ha dato un pugno e mi sono difeso… mi inchiummò diciamo ed io ho reagito, ho reagito d’istinto e mi sono difeso e da lì ci hanno divisi e me ne sono andato. Ora per loro forse è stata un’onta per suo fratello che è scartu non lo so, un’onta da lavare… ci siamo divisi e me ne sono andato. Sono andato da mia madre”.

A questo punto, come è emerso dalle indagini dei poliziotti, Franco Mazzè, fratello maggiore di Vincenzo, si sarebbe messo sulle tracce di Chianchiano: “… sono conoscenti, più che altro conoscenti del quartiere e praticamente mi è arrivato… all’orecchio è arrivato un tam tam che mi cercavano per ammazzarmi, ed allora ho pensato ai miei figli che… mi sono dimenticato nel passaggio che avevo accompagnato i miei figli di mattina presto in chiesa che portavano gli ulivi… davano gli ulivi… sono andato da loro. . . quando ho sentito questo tam tam conoscendo i soggetti mi sono armato, ho preso una pistola e mi sono armato. L’avevo nascosta a casa… nemmeno mia moglie lo sapeva, ce l’avevo a casa nelle scatole delle scarpe. Sono andato a casa, mi sono armato e mi sono messo la pistola addosso”.

Chianchiano scagiona, però, l’amico: “… avevo preso la macchina di Biondo a sua insaputa mentre… perché lui era salito sopra e mi sono preso la Panda sua e me ne sono andato a casa per prendere quest’arma. Mentre andavo in chiesa per prendere miei figli… l’ho incocciato stu Franco Mazze con il motorino elettrico e mi veniva incontro”. E qui, in via Gino Zappa, che accade il peggio: “Sono sceso dalla macchina perché ci volevo dare… non lo so non lo volevo ammazzare, volevo discutere, lo volevo prendere a cazzotti, lui mentre veniva da me… ha buttato giù il motorino e ha estratto una rivoltella, aveva una automatica che la imbracciava con la sinistra. Io ho estratto pure la mia pistola e ha incominciato a far fuoco… ha sparato 3 – 4 colpi verso di me, solo che io mi sono riparato dietro una cabina… ha sparato ed io ho risposto al fuoco, rispondendo al fuoco mi riparavo e lui avanzava sempre a sparare. Mentre… l’ho puntato che era lui riparato forse l’ho preso, non so dove l’ho preso, ho visto che era a terra, era ferito, riparato e ho cominciato a sparargli due, tre, quattro, cinque colpi”. Mazzè resta per terra in un lago di sangue. La corsa in ambulanza verso l’ospedale sarà inutile.

Chianchiano vuole completare il lavoro. Il suo obiettivo diventa Michele Moceo “perché camminano sempre assieme, u vulieva ammazzari…”. Raggiunge la casa del nipote di Mazzè e “tutto il caricatore ho sparato”. Caso vuole che Moceo non sia in casa. È uscito, scampando alla morte, pochi secondi prima dell’arrivo di Chianchiano. Il progetto del secondo omicidio, però, avrebbe lasciato spazio alla meno grave idea di limitarsi ad intimidire Moceo: “Se volevo tirare nelle serrande tiravo nelle serrande, ho tirato nel muro perché so che c’ha dei bambini, io sugnu patri, io sono pure genitore ed avi picciriddri chi putieva colpire un picciriddru dra rintra?… ci pari ca sugnu un pazzu”.


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