Orgoglio siciliano: Cuntami, nastro d'argento alla Taviani - VIDEO - Live Sicilia

Orgoglio siciliano: Cuntami, nastro d’argento alla Taviani – VIDEO

premio speciale nella sezione documentari ai Nastri d'argento. Prodotto da Amedeo Bacigalupo, Cloud 9 Film, con Rai Cinema
IL RICONOSCIMENTO
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Regista, studiosa di letteratura contemporanea, saggista e nota critica del cinema, Giovanna Taviani, con “Cùntami”, si aggiudica il premio speciale nella sezione documentari ai Nastri d’argento. Prodotto da Amedeo Bacigalupo, Cloud 9 Film, con Rai Cinema con il contributo di Regione Siciliana e Sicilia Film Commission nell’ambito del programma Sensi Contemporanei Cinema, “Cùntami”, sarà presentato a Milano al Festival Sguardi Altrove l’11 maggio. Un viaggio su un furgone rosso carico di Pupi, in giro per la Sicilia alla ricerca dei nuovi narratori orali, per risvegliare la grande tradizione dei pupari, del cùnto e dei cantastorie, far rivivere il sogno del mito e della tragedia classica, con le vicende di Ulisse o dei Paladini di Francia, richiamando alla memoria le storie del passato come chiave interpretativa moderna. I Pupi, interpreti che la regista romana presenta nel suo road movie, dimostrano con la loro voce e i loro gesti, la passione artistica e civile che li anima, divenendo non più personaggi epici, ma vere e proprie figure umane. Figlia e nipote dei grandi cineasti, Vittorio e Paolo, dal 2007 direttrice del SalinaDocFest, Giovanna Taviani, è stata intervistata prima dell’evento di premiazione, concedendosi con molta generosità ad alcune domande, partendo dal suo amore per il cinema e la Sicilia.

“D’altronde Dio creò l’uomo perché amava sentir raccontare delle storie”, recita il detto hassidico che ha posto in epigrafe del film…

Questo è un detto che mi ha suggerito Monia Ovadia, un grandissimo drammaturgo e scrittore italiano, che mi ha dato dei consigli e citato questa frase, che ho voluto mettere in epigrafe al mio film, perché penso sia la chiave di quello che volevo raccontare, anche un paradosso, “Dio inventò l’uomo perché voleva sentirsi raccontare delle storie”. L’affabulazione, è una facoltà innata che abbiamo tutti, che ci rende tutti uguali, ed è anche un modo per elaborare il lutto delle perdite, perché quando riporti le storie che ti raccontavano i tuoi genitori, i tuoi nonni, rielabori la loro presenza in vita. Il narrare delle storie passa di generazione in generazione, e ci protegge dalle viscere della terra ricordandoci che chi c’era una volta, ci sarà ancora. Chi dice che l’amore è la chiave del mondo, io penso che il racconto e chi lo racconta sia la chiave per cambiare il mondo.

Come parte l’idea di risvegliare il mito e le tradizioni popolari
della Sicilia?

“Cùntami, recupera le tradizioni popolari siciliane, attingendo al mito e alle storie classiche che conoscono un po’ tutti, in ogni parte del mondo. Ho scelto la Sicilia, perché ho trovato una nuova generazione di narratori, che si ispirano a Mimmo Curicchio, il più grande cuntista e Puparo vivente. In realtà questi oratori dell’arte antica, che sono attori, autori teatrali e registi cinematografici, riprendono la storia del mito classico, di Ulisse, di Orlando, di Angelica, di Don Chisciotte, di Colapesce, di Polifemo, attualizzandola ai nostri giorni. E l’ambientazione di Cùntami proprio in Sicilia, perché è in quest’isola che affonda la tradizione degli cuntisti, che andavano in giro con i carretti siciliani, narrando di cavalieri e amori. Nel docufilm non ho utilizzato il carretto tipico dell’arte popolare siciliana, ma ho inventato con i due scenografi palermitani, Nicola Sferruzza e Roberto Intorre, un mezzo astratto come la macchina del tempo, che si ispira ai carretti siciliani, ma non ha niente di folkloristico ma solo geometrico e minimale”.

Dunque la tradizione del cùnto e dei cantastorie, per raccontare l’altra Sicilia, quella che si risveglia attraverso le storie popolari del passato, che Lei dimostra di conoscere a fondo…
“Noi documentaristi siamo molto legati alla contemporaneità, per cui ci interessa raccontare l’attuale. Ed io, che sono ossessionata dalla memoria, perché penso che senza memoria non ci sia un presente e non ci sarà un futuro, ho scoperto che questi narratori orali, ricercano e riutilizzano le storie fantasiose per esprimere i nostri sentimenti. Per esempio Vincenzo Pirrotta, attore, regista teatrale e cuntista, originario di Partinico, un paese della Sicilia che trasuda di delitti di mafia, nell’interpretazione dell’Orlando Furioso in Cùntami, esprime la rabbia nei confronti di un territorio, che è stato tradito dalla mafia. Dunque il furore di Orlando, che nel nostro immaginario popolare sappiamo che è impazzito per amore, rappresenta una sregolatezza moderna di chi non accetta che la terra del mito sia stata profanata. Ulisse, il personaggio della mitologia greca, è il migrante che vediamo ogni giorno nei nostri telegiornali, nel nostro mare Mediterraneo che si sporca di sangue e di perdite umane, per cui costituisce un tema corrente. In ogni modo, è importante l’attualizzazione del mito, perché ci porta sempre delle risposte al nostro presente, tanto è vero che sopravvive dopo duemila anni”.

La Sicilia, un’isola che Lei a quanto pare privilegia, amore a prima vista o legami familiari…
“Non ci sono legami familiari. Mia madre era di Genova e mio padre e suo fratello erano originari della Toscana. E allora, perché la Sicilia? Per due motivi. Uno legato al cinema di mio padre e all’esperienza della mia famiglia. Negli anni 70 i miei genitori prendevano una casa a Salina, e per loro è diventato un luogo dell’anima dove ogni anno trascorrevamo le vacanze. A Salina ho deciso di inventare un festival, il Salina DocFest, che in qualche modo è diventato anche un luogo di lavoro per me e non solo di vacanza. La Sicilia, perché mio padre e mio zio giravano dei film nell’isola. Il loro primo film insieme a Valentino Orsini, “Un uomo da bruciare” con Gian Maria Volonté nel 1960, liberamente ispirato alla storia di Salvatore Carnevale( Turiddu) sindacalista socialista, ucciso dalla mafia che ritorna nel mio documentario con l’interpretazione di Mario incudine, che fa il cunto e il lamento di Turiddu, scritto da Ignazio Buttitta. Quindi in effetti per mio padre e mio zio, la Sicilia insieme alla Toscana è sempre stata una terra di “elezione”. Questo me l’hanno sicuramente trasferito, e in più ho instaurato rapporti universitari con insegnanti di Palermo, così ho iniziato a lavorare in questa regione dove ho ambientato quasi tutti i miei documentari, tranne il primo”.

E invece, della scelta di privilegiare il genere documentaristico ?
“Diciamo per due motivi. Intanto perché faccio parte di una generazione che ha esordito tardi, nel 2004, come regista. Gli anni 2000 nel cinema italiano rappresentano uno spartiacque rispetto alla rinascita del documentario. Si intravedono docufilm importanti, che vincono i festival di tutto il mondo, un nome per tutti è quello di Gianfranco Rosi, ma in realtà posso citare anche Daniele Vicari e Agostino Ferrente. Dopo il 2000 invece scopriamo, che nel mondo era talmente forte tutto quello che stava accadendo, come la tragedia delle torri gemelle, le stragi nel mar Mediterraneo, per cui nasce l’esigenza di tornare a descrivere la realtà che ci circonda e non le commedie sentimentali. E per fare tutto questo ci è venuto in soccorso il genere documentario, che ci permette di stare addosso al mondo reale. L’altra ragione è autobiografica. Essendo figlia di due grandi registi che della finzione hanno fatto la loro fama in tutto il mondo, forse ho voluto trovare il mio spazio, una mia autonomia e rivendicare una mia alterità. Mio padre Vittorio e mio zio Paolo, non hanno mai fatto un documentario, dunque è stato anche un modo per reclamare la mia identità rispetto al cinema fabulativo dei Taviani. Poi, che io abbia messo in Cùntami, tutta l’affabulazione che ho ereditato da loro, che appartiene alla finzione, questo è anche un rinnovamento del genere. Penso che si possa documentare la realtà, raccontando delle storie, come nel docufilm, che sono fabulative come in un film di finzione”.

Qualche anticipazione sui prossimi progetti…
“Intanto sono impegnata al Salina DocFest fino a ottobre, con un’anteprima a Roma. E sto lavorando a un cortometraggio con uno dei più inventivi chef, il pugliese Daniele De Michele, in arte Donpasta, sulle eccellenze enogastronomiche di Salina, nelle isole Eolie. In realtà ho anche un progetto nel cassetto, quello di scrivere una sceneggiatura, per un film di finzione sempre mantenendo l’approccio documentaristico”.

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