PALERMO – Tre dirigenti e l’Amap rinviati a giudizio. Il processo, che inizierà il 3 giugno prossimo, riguarda l’istruttoria per un maxi prestito da venti milioni di euro concesso dalla Banca centrale degli investimenti. Il giudice per le indagini preliminari ha respinto l’eccezione di incompetenza territoriale avanzata dalla difesa.
Gli imputati sono la società che gestisce il servizio idrico, il direttore generale Giuseppe Ragonese, l’amministratore unico Alessandro Di Martino e il suo predecessore Maria Concetta Prestigiacomo. Il reato contestato è indebita percezione di erogazioni pubbliche, aggravato dalla qualifica di incaricati di pubblico servizio.
“Omissioni dell’Amap”
Secondo la ricostruzione dei procuratori europei Calogero Ferrara ed Amelia Luise e dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, le omissioni nelle informazioni fornite da Amap alla Banca avrebbe influenzato la decisione dell’istituto di credito di concedere il prestito alla società. In un primo momento la somma era stata sequestrata dai conti correnti. Poi il tribunale del Riesame decise per il dissequestro pur ribadendo la sussistenza delle condotte contestate ai dirigenti della società e la responsabilità della azienda.
La Banca, insomma, come prospettato dall’accusa, non sarebbe stata informata dell’assenza dei requisiti richiesti per la concessione del prestito e delle problematiche che poi non consentirono all’Amap di pagare le rate. I prestiti concessi a tasso agevolato, con la garanzia dell’Unione europea, dovevano servire per realizzazione di un programma nel settore della produzione di acqua potabile e trattamento delle acque reflue.
L’accusa
I manager dell’azienda, secondo la tesi dell’accusa, per impedire a Bei di procedere alle valutazioni di competenza in merito al rispetto delle condizioni per l’ottenimento o la revoca del finanziamento erogato, avrebbero consapevolmente omesso di comunicare alla banca, tra il 2017 e il 2020, gravi e reiterate violazioni, anche di rilevanza penale, in materia ambientale, sfociate in un’ordinanza di commissariamento giudiziale emessa nel 2021 dal gip di Palermo e nella successiva richiesta di rinvio a giudizio dei responsabili (nel frattempo c’è stato il rinvio a giudizio).
Secondo il Riesame, però non c’era il rischio di commissione di altri reati o di aggravamento delle conseguenze del reato. Da qui il dissequestro dei soldi.