Palermo, 'donna aggredita': ecco perché è stato condannato un poliziotto

Palermo, ‘donna aggredita’: ecco perché è stato condannato un poliziotto

I fatti sarebbero avvenuti in commissariato

PALERMO – L’imputato, “poliziotto addestrato e per tale motivo certamente avvezzo alla calibrazione della propria quanto dell’altrui forza”, ha “energicamente spinto la persona offesa quantomeno accettando il rischio che dalla propria azione potessero derivare conseguenze lesive sul soggetto passivo”.

È uno dei passaggi della motivazione della sentenza con cui, lo scorso settembre, il giudice per l’udienza preliminare Rosario Di Gioia ha condannato a un anno mezzo di carcere per lesioni aggravate l’ispettore capo Tonino Prontera.

Sarebbe stato lui a picchiare una donna all’interno del commissariato. La difesa attendeva il deposito delle motivazioni, avvenuto il mese scorso, per presentare appello contro una ricostruzione definita “inconsistente”.

Il processo prendeva le mosse dalla querela di una donna di 49 anni che raccontò di essere stata strattonata e spinta contro il muro con una violenza tale da procurarle una frattura alla spalla, refertata in una clinica privata.

La ricostruzione dell’accusa

Questa la ricostruzione del procuratore aggiunto Sergio Demontis e del sostituto Chiara Capoluongo. La donna, parte civile al processo con l’assistenza degli avvocati Mauro Torti e Corrado Nicolaci, era andata al commissariato Borgo Nuovo-Zisa di via Noce dopo che un extracomunitario nel 2017 le aveva rubato il cellulare in piazza principe di Camporeale.

Voleva presentare una denuncia e invece sarebbe stata liquidata con un frettoloso “se ne vada”. “Se fosse successo a un suo familiare non l’avrebbe aiutato?”, avrebbe risposto la donna, scatenando la reazione dell’agente. Il tutto davanti alla madre che nel frattempo aveva raggiunto la figlia in commissariato.

La Procura aveva inizialmente chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, ma il giudice Marco Gaeta aveva accolto l’opposizione avanzata dai legali della parte civile.

“Contraddizioni nel racconto”

A pesare sulla condanna il contenuto della relazione di servizio di un collega dell’imputato che, si legge nella motivazione, “forniva una versione della seconda parte della vicenda non dissimile da quella che sarebbe stata poi riferita dalla persona offesa, rilevando come la seconda caduta subita dalla persona offesa si fosse originata da una energica spinta dell’odierno imputato”.

Nella stessa relazione si faceva riferimento alle parole pronunciate dalla donna che urlava: “Sssassino, assassino e altre imprecazioni di vario genere”. Particolare che, secondo il giudice, “trovava poi ulteriore riscontro nella registrazione della chiamata effettuata al 118”.

Il giudice parla anche di “contraddizioni emerse nella stessa versione dei fatti fornita da parte dell’odierno imputato”, secondo cui sarebbe stato aggredito dalla donna, in preda ai fumi dell’alcol, mentre “tentava di
tranquillizzare la donna ormai in preda all’isteria”.

Le parole della difesa

“Sono costernata e stupita e stupita, – aveva spiegato il legale della difesa, Mattia Fucarino -, non si è tenuto conto di una un serie dichiarazioni di pubblici ufficiali, ispettori, medici, psicologi e dei certificati medici che attestavano che la signora è una alcolista cronica. Si è creduto a una versione inconsistente”.

Secondo la difesa, fu la donna, in evidente stato di ebrezza, a presentarsi in commissariato con gli abiti strappati dopo la rapina e ad aggredire il poliziotto che fu costretto a difendersi


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