Palermo e il Liotru... - Live Sicilia

Palermo e il Liotru…

Vista da Catania
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Non potranno mai guardarsi negli occhi Palermo e Catania, perché un uomo non potrà vedere mai le proprie spalle o il sole incontrare la luna, ma possono ascoltarsi come in un gioco di bambini: due bicchieri legati da uno spago.
Ci sono diversi modi per parlare di Palermo da Catania, che sarebbe parlare della leggerezza artistica della Cattedrale, dalla città pesante come il suo elefante e dall’aria fattasi piombo.
Ma è tra le strade della “fera o luni” che si desidera Palermo, nel mercato delle città che è il porto dei carovanieri di masserizie,  aringhe sotto sale, cappotti “Belstaff” fatti nella periferie di Pechino.  Ed è desiderio, ancheggiare non di buste ma di donna, quella Vucciria-Vucca femminea dipinta da Guttuso che incede col suo vestito bianco come il latte, attillato come una calza sulla pelle, capace di far girare ancora il volto per la grazia con cui cela la nudità lasciandola immaginare, per l’eleganza che è il contrario della sguaiataggine  .
Ci si accorge che Palermo è ancora la porta “da dove sono entrati in Sicilia gli arabi, i cavilli, le sottigliezze, l’io e il non io, la malinconia e i mosaici” uno dei tanti “piaceri” all’orecchio del catanese Brancati da sussurrare come un segreto da lasciare al nipote, una preghiera che da Palazzo Steri  -sede dell’Inquisizione- si tramanda dentro una bottiglia persa per mare.
Della malinconia Palermo è riuscita a trarre il lato comico attraverso la bislaccheria, il grottesco di Cinico Tv di Ciprì e Maresco o Roberta Torre, fare del “Cassaro” una piccola gabbia di ingegni, un bistrot di scrittori e registi .
Non apparirà strano quindi che ci sia più Palermo nel teatro di Catania che catanesi a Catania, da Vincenzo Pirrotta a Luigi Lo Cascio, da Emma Dante a Davide Enia. E’ tutta nella mimica persa di Angelo Musco che Catania invidia Palermo in quel linguaggio che lo scomparso attore Giorgio Li Bassi portava ad Amsterdam come in Spagna: la lingua dell’arte che dopo Turi Ferro, la città catanese non riesce più a rinnovare.
Perché è dai teatri che una città si svela, tra le quinte delle proprie macchiette e i dettami del proprio dialetto s’interpretano le necessità quanto i vizi, lo stato di salute di una terra sempre malata. Ascoltata con il bicchiere, Palermo è una donna musulmana ma indipendente come Angelica seguita da piccole città cristiane che combattono una guerra di potere e tecnologia dimenticando la bellezza del vagare, l’amore di Medoro quel fascino che ancora Palermo conserva inalterato come una moschea-basilica che resiste agli assalti dei tecnocrati, dei pensionati giovani, dei pupi illusi da cattivi pupari.
Palermo resiste e forse perché è la Parigi di Sicilia, tutti la rapiscono ma nessuno la prende come un furetto scappa avanti senza vivere di passato che è bello ma ingannevole come un mosaico.
E’ nella capacità di fuggire da quel cavaliere che incalza su quel cavallo che sembra disegnato da Picasso, raffigurato nel mosaico “Il trionfo della Morte” conservato a Palazzo Abbatellis, che Palermo corre distanziando Catania innamorata dell’inganno, di una superiorità economica che si scioglie come un gelato e che è sintomo della paura e del declino. Forse la città di Palermo non è mai stata bella come oggi che sembra sporca e sudicia perché dalla difficoltà riesce a trarre l’arte di Palazzo Riso, dai ficus non potati per mancanza di scale farsi foresta selvaggia e primitiva che si riappropria di sé stessa. Una città è bella nella misura in cui sa resistere al tempo e spargere il seme del riscatto che è liberazione dal pizzo, dalla famiglia che protegge ma tarpa le ali.
La sua bellezza sta tutta nel rosa che è il colore della città ma anche di Venere, del vivere di Battisti e del crepuscolo che è pur sempre la fine di qualcosa ma l’inizio d’altro.


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