PALERMO – “C’è un regolamento che mi consente l’uso della macchina. E io l’ho seguito. Punto”, dice Gianfranco Micciché. Sono le stesse parole che l’ex presidente dell’Ars e deputato regionale di Forza Italia ha detto ai magistrati nel corso dell’interrogatorio di garanzia.
L’inchiesta è quella sull’uso disinvolto dell’auto blu che lo vede indagato per peculato, truffa e falso. Miccichè è stato sentito dal giudice per le indagini preliminari Rosario Di Goia, alla presenza dei pubblici ministeri di Palermo Claudia Ferrari, Emanuele Faletra e Maria Pia Ticino.
Secondo l’accusa, l’auto di servizio, che di fatto si era assegnato con un apposito decreto prima di lasciare l’Ars, sarebbe stata usata come un taxi per trasportare parenti, amici e altre utilità personali.
“Da parte mia può esserci stato qualche errore, una forzatura ma non ho certo vissuto nell’illecito”, continua Miccichè.
“Tante di quelle cose che mi vengono contestate sono vere, ma il meccanismo che mi assegnava la macchina mi consentiva di farle”, aggiunge.
Miccichè fa una netta differenza fra il regolamento delle auto per i vice presidenti e quello per gli ex presidenti nonché deputati (il suo caso): “Per i primi è previsto che l’auto sia assegnata per fini istituzionali e di rappresentanza, mentre per me no”.
Nel decreto “si parla solo di auto assegnata. In ogni caso, nonostante sia certo di non avere commesso scorrettezze ho deciso di restituire la macchina all’Ars perché non voglio che per colpa mia si parli male di un’istituzione che ho sempre difeso”.
Micciché non ritiene di avere sbagliato neppure per la storia del gatto di famiglia che viaggiava in auto blu: “Stava morendo, mia figlia mi ha chiesto di portarla subito dal veterinario. Se ho commesso un reato per questo allora lo ricommetterei. È un animale a cui tengo, che vive con noi da 15 anni”.
E le piante? “Mai arrivate”. Le medicine, il pesce? “La macchina doveva comunque venire a prendermi e io chiedevo che mi portasse le medicine. Se questo è peculato, allora l’ho commesso. Ma non lo è, ripeto: il regolamento mi consentiva di utilizzarla non solo per fini istituzionali”.
Una cosa Micciché ha ammesso: le firme sui fogli di missione usati dal suo autista Maurizio Messina per ottenere rimborsi non dovuti: “Firmavo in assoluta buona fede, mi sono fidato”. Infine spiega: “Ha fatto bene la magistratura a indagare, spero di avere chiarito che non ho commesso reati”.
Ed è per questo che il suo legale ha chiesto al giudice per le indagini la revoca del divieto di soggiorno a Cefalù.