Né munnizza e nemmeno bellezza | Palermo, capitale della tristezza - Live Sicilia

Né munnizza e nemmeno bellezza | Palermo, capitale della tristezza

Cultura, bellezza, rifiuti. Ma non si parla dell'unica cosa che manca: la felicità.

PALERMO – La donna che rammenda le scarpe di cuoio giunte alla fine del loro cammino, si china sulla tomaia, con lucido e panno. Qualcuno prende il caffè nei paraggi. Qualcuno si lascia spolverare i mocassini. Quasi mai le altre donne, per femminile imbarazzo. Gli uomini sì, con aria distratta, mentre compulsano il telefonino.

Ha scatti operosi e sguardi un po’ malinconici, lei, la Signora lustrascarpe. Forse vorrebbe essere altrove, non lì, anche se assolve il suo compito con dignità e garbo. Ma, a Palermo, quasi nessuno si trova mai dove vorrebbe essere.

La ragazza che sta alla cassa del supermercato, chiacchiera con spontaneità. Racconta di avere la laurea e il master. Sorride. Passa il codice di una scatoletta di pelati. Chiacchiera ancora. Il collega che affetta i salumi è ingegnere. L’orgoglio del reparto. Le mortadelle tagliate da un laureato in ingegneria avranno una precisione millimetrica, perché niente – angolazione del coltello, posizione delle mani – verrà lasciato al caso.

Come è triste Palermo, dove quasi nessuno abita il luogo dei suoi desideri. Forse capita pure altrove, ma quaggiù il ‘palermitanesimo’ è un’aggravante, una cappa. La disillusione si comincia ad apprenderla nell’evidenza comunale: un tessuto slabbrato, caotico, sporco e impossibile. Si prosegue, fissando Palermo e maledicendola nella sedentarietà marmorea della sua classe dirigente, nella volgarità – salvo meritevoli eccezioni – della sua rarefatta opulenza, nella rassegnazione della sua povertà. Tutto è stagnante, come se la storia e il tempo avessero abbandonato il campo, presi per stanchezza.

Ed è l’intreccio che non sfugge a un occhio appena attento: i destini personali e l’oroscopo collettivo si incontrano nella stessa palude, nella medesima immobilità, nell’identico irrigidimento. Basta scattare qualche istantanea in giro per cogliere il punto in cui le vicende umane si uniscono a un panorama desolato. Basta guardare gli occhi delle persone, ascoltarne le storie, osservarne il profilo ingrigito. Palermo, nemica dei cambiamenti e della felicità.

Eppure, esiste la ribellione disorganizzata di una resistenza che, suo malgrado, continua a respirare in certe giornate di struggente splendore del cielo, in certe sere che coprono la spiaggia di Mondello e amplificano, seguendo i passi sulla sabbia, la risacca.

Eppure, continua la rivolta organizzatissima di una bellezza che tenta di trasformarsi in senso compiuto. Le sovrapposizioni al contesto del Teatro Massimo, la capitale della Cultura, l’appuntamento di ‘Manifesta’, esperimenti pensati per illuminare la scena, tentativi nobili di resurrezione, idee e appunti per rimettere a posto i cocci sparsi.

Ma si avverte, al tempo stesso, che Palermo avrebbe bisogno di parole calde e luminose, lontane dall’ufficialità, capaci di scovarla nelle oscure tane della sua disperazione, di piccole azioni in forma di pioggia benefica, di carezze, di un accudimento e di una fiducia tali da riscattare la brutalità delle sue esistenze e costruire intorno una città dedicata all’uomo. A tutti gli uomini, ovunque sia la loro lotta.

E non c’è chi trovi quelle parole, non c’è uno che le pronunci per raggiungere il cuore di chi si sente solo, recluso in una cinta muraria, sotto assedio. Non c’è una città. Non ci sono le persone. Ci sono trasparenze indefinite che sfumano presto. C’è un noioso e prolungato dibattito di maniera tra bellezza e munnizza. E si dovrebbe parlare di felicità.

Sullo sfondo, si staglia una processione in bianco e nero di vecchietti al balcone, dispersi tra i gerani, di bambini in pigiama che non sapranno mai leggere bene e saranno condannati alla schiavitù dai detentori dell’alfabeto, di ombre rannicchiate, di anime in pena tra il Cassaro e via Maqueda, di biografie mischiate male, di atroci economie, di catene cigolanti che raccontano il ‘fine pena mai’ dell’esistenza di troppi.

La storia e il tempo si sono come fermati. La luce è stata sopraffatta dall’irrilevanza. Palermo di scarpe rotte, ingegneri che affettano mortadelle, sotto uno splendido cielo azzurro, detonatore di rimpianti e nostalgia. Palermo assediata dal nodo della sua paura che l’amore non scioglie, né risolve. Palermo, dolce e derelitta, capitale della tristezza.

 


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