Palermo, 'pronto sono io': Abbate aveva un telefonino in cella Live Sicilia

Palermo, ‘pronto sono io’: Abbate aveva un telefonino in cella

Cosi gestiva gli affari della droga dal carcere

PALERMO – Da sempre la Kalsa è il regno degli Abbate. Si passano il testimone del potere. Un’alternanza obbligata dagli arresti. L’importante è che in attesa di finire di scontare le pene ci sia sempre un Abbate a gestire la famiglia.

A volte neppure il carcere riesce a fermarli. Ottavio Abbate, l’uomo chiave dell blitz della notte, se ne stava comodamente seduto in cella a parlare al telefonino. Credeva di essere al sicuro ed invece le telefonate venivano registrate.

Ottavio Abbate una fetta dei suoi anni li ha trascorsi in carcere. La prima volta è stato arrestato nel 2010 quando con il blitz denominato “Eleio” i carabinieri tracciarono l’ascesa al potere di Antonino Abbate alla guida della famiglia del Borgo Vecchio. Ottavio Abbate fu condannato a 4 anni di carcere. Nel 2017 era di nuovo in carcere per droga. Nel 2019, mentre era detenuto ad Agrigento, gli è stato notificato un nuovo ordine di arresto perché avrebbe diretto il mercato degli stupefacenti alla Kalsa.

I colloqui con i parenti e il telefonino nascosto in cella gli hanno consentito di restare in prima linea.
Droga e non solo. Nelle sue telefonate parlava di debiti da riscuotere o di parenti di suoi coimputati da minacciare affinché non patteggiassero la pena. E di soldi da fare avere al fratello Luigi, che tutti chiamano Gino u Mitra, per la sua dimestichezza con le armi.

“Mi deve dare 7.000 euro a me… ancora non me li ha dati”, diceva il figlio Salvatore, riferendosi a un soggetto di cui si conosce il soprannome “U pompa di benzina”. Il padre Ottavio lo invitava a rivolgergli un ultimatum: “Ma come ti permetti, dice mio padre, non te lo levi il vizio allora vedi di farti dare i soldi senza perdere tempo”. La storia di un debito era stata ricostruita su Livesicilia: c’erano state delle frizioni fra le famiglie mafiose clan del Borgo Vecchio e di Santa Maria Di Gesù e Ottavio Abbate andò a chiarire la situazione. Erano i giorni che precedettero l’omicidio di Mirko Sciacchitano.

Nel dicembre 2018, durante un colloquio in carcere, Vincenzo Romeo informò Ottavio Abbate che “tuo parrino si sdirrubbò”. Il riferimento era al pentimento di Francesco Colletti, boss di Villabate. Abbate era incredulo: “Ma che stai dicendo…”. Subito dopo pensò che Colletti fosse al corrente del fatto che avesse un telefonino in cella: “Ci vuole un’altra scheda… gli devo fare cambiare a tutti le schede”.

Era il telefonino con cui passava le direttive a “Nicola dello Sperone”, “stuppaglia”, “Daniele u funcia” ( (soprannomini di persone con cui c’erano in ballo storie di debiti) e diede l’ordine di escludere dall’organizzazione Francesco Paolo Cinà (nipote di Ottavio Abbate, in quanto figlio della sorella), che aveva comprato hashish di pessima qualità dal napoletano Ugo Mormone.

Il telefono era bollente. Forse perché, come diceva Salvatore Abbate, “tutto il carcere ha il mio numero… chiunque mi chiama”. L’ipotesi è che il giovane Abbate facesse arrivare “cioccolato” e cioè droga ai detenuti.

Un’intera famiglia sotto accusa. Nel blitz dei carabinieri è coinvolto anche l’altro figlio di Ottavio, Marco Abbate; il fratello di Ottavio, Pietro, e il figlio di quest’ultimo, Antonino, detto Tony (di cui si segnala l’amicizia e la frequentazione con Francolino Spadaro, figlio del re della Kalsa Tommaso, morto ai domiciliari dove scontata l’ergastolo per l’omicidio del maresciallo dei carabinieri Vito Ievolella). Anche su questi rapporti si è acceso l’interesse investigativo del procuratore aggiunto Paolo Guido e dei sostituti Dario Scaletta e Giorgia Spiri.


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