PALERMO – La famiglia del piccolo Claudio Domino si oppone alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica di Palermo. Secondo l’avvocato Antonio Ingroia, bisogna continuare a indagare sull’omicidio del bambino. O meglio, bisogna ripartire da zero o quasi: per la famiglia infatti i pm avrebbero solo fornito una rilettura di elementi del passato. Ed invece servirebbero nuovi accertamenti, a cominciare da un nuovo giro di acquisizioni testimoniali.
I dubbi della famiglia ruotano soprattutto attorno alla figura di Giovanni Aiello, oggi deceduto, passato alla cronaca con il soprannome faccia da mostro per la cicatrice sul volto.
Claudio Domino aveva solo 11 anni
Il piccolo Claudio Domino aveva 11 quando fu assassinato la sera del 7 ottobre 1986. A fare fuoco un killer giunto in sella ad una moto di grossa cilindrata, probabilmente una Kawasaki, in via Giovanni Fattori, rione San Lorenzo. Indossava il casco integrale e impugnava una pistola semiautomatica calibro 7.65. Un proiettile raggiunse al volto il bambino che era in compagnia di un amico.
La Procura della Repubblica ha riaperto il caso nel 2021, ma ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta a carico di ignoti. L’ultima parola spetta al giudice per le indagini preliminari. Il procuratore aggiunto Marzia Sabella e il sostituto Giovanni Antoci sono ripartiti dalla richiesta di nuove indagini invocate dai genitori del piccolo Claudio, il padre Antonino e la madre Graziella Accetta.
Le pulizie al bunker
“Ehi tu, vieni qui”, disse il killer a Claudio prima di fare fuoco. Nessun testimone, tranne l’amichetto che però nulla aveva visto. Le indagini si concentrarono all’inizio sull’impresa di pulizia di Domino che aveva presentato un’offerta per aggiudicarsi la commessa nell’aula bunker dell’Ucciardone dove si stava celebrando il maxiprocesso alla mafia.
Poi spuntò l’ipotesi che “casualmente” il piccolo Claudio qualche giorno prima del delitto “ha sollevato la saracinesca di un locale di proprietà di Salvatore Graffagnino”. L’uomo gestiva un bar vicino al luogo del delitto e una in piazza San Lorenzo.
Tre omicidi dopo la morte di Claudio Domino
Qualcuno ricordava pure che l’uomo fosse andato all’ospedale dopo l’omicidio. “Doveva andare così… so che tu non hai fatto niente”, avrebbe detto al padre della vittima. Il 5 dicembre 1986 Salvatore Graffagnino fu assassinato assassinato. Stessa sorte toccherà, il 21 novembre 1991, al figlio Giuseppe e al nipote Gabriele.
Ad organizzare il primo omicidio furono i boss di San Lorenzo Giovan Battista Ferrante e Salvatore Biondino. Nella motivazione della sentenza di condanna c’è scritto che Salvatore Graffagnino fu ucciso perché ritenuto responsabile dell’uccisione del piccolo Claudio: “…un dato appariva inconfutabile alla luce delle concordi risultanze dibattimentali: lo scomparso (Graffagnino Salvatore) era ritenuto non solo da Antonio Domino e dagli inquirenti, ma anche da Cosa Nostra il responsabile dell’uccisione di Claudio Domino”, scrissero i giudici.
Per l’omicidio degli altri due Graffagnino sono stati condannati Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Giovanni Cusimano, Simone Scalici, Giovan Battista Ferrante e Francesco Onorato. Anche in quel processo l’omicidio Domino è stato considerato una delle possibili causali.
Le dichiarazioni di Giovanni Ilardo
Ad un certo punto è saltata fuori una vecchia registrazione delle dichiarazioni rese da Giovanni Ilardo al tenente colonnello Michele Riccio. Ilardo era un capomafia della provincia di Caltanissetta che per un anno e mezzo fece il confidente, poi il 10 maggio 1996 l’ammazzarono sotto casa, a Catania, prima che venisse ufficializzata la sua collaborazione con la giustizia.
Ilardo disse di avere saputo che l’omicidio Domino era stato commesso dai servizi segreti e poi addebitato a Cosa Nostra. In particolare qualcuno aveva visto che a premere il grilletto era stato uno che “aveva la faccia di un mostro e … girava imperterrito in Palermo”.
Ilardo è sempre stato ritenuto credibile, dubbi invece sono stati espressi su altri due collaboratori sentiti in vari processi. Il mafioso calabrese Antonino Lo Giudice, detto il nano raccontò che nel carcere dell’Asinara il boss palermitano Pietro Scotto “dava la colpa a un certo Giovanni Aiello. La colpa è tutta sua da quando è entrato nella sua… nella nostra famiglia, che ha preso amicizia con mio fratello, ci ha rovinato a tutti”.
In seguito, così raccontò Lo Giudice, avrebbe conosciuto lo stesso Aiello che gli confidò di avere ucciso Domino. Solo che Lo Giudice ha detto di non ricordare dove e come avvenne il delitto.
Consolato Villani, ‘ndranghetista pentito, ha riferito che Lo Giudice gli disse che “faccia da mostro” aveva ucciso una donna e un bambino. In realtà in un precedente interrogatorio aveva parlato dell’omicidio di una donna e di un poliziotto, e poi di un bambino. Anche le sue dichiarazioni vengono ritenute contradditorie.
Di avviso opposto l’avvocato Ingroia secondo cui, il processo denominato “‘ndrangheta stragista” avrebbe certificato l’attendibilità dei racconti dei collaboratori: “Il ruolo di Aiello va accertato, una cosa è dire che non si può procedere perché è deceduto, un’altra escludere le sue responsabilità”. La parola passa al Gip che può archiviare o disporre nuove indagini.

