Palermo, non era mal di stomaco ma infarto

Il mal di stomaco, le dimissioni, l’infarto ma non fu colpa dei medici

L'ospedale Ingrassia
Il processo per la morte di un uomo all'ospedale Ingrassia

PALERMO – Assolti il medico e l’infermiera. Non ebbero alcuna responsabilità nella morte di Francesco Mancino, deceduto a 63 anni per un infarto dopo le dimissione dell’ospedale Ingrassia.

Sotto processo per omicidio colposo c’erano Francesca Prestigiacomo e Cinzia Tribuna. I tragici fatti sono del 2017. Mezz’ora dopo la mezzanotte l’uomo viene trasportato dai sanitari del 118 al pronto soccorso. Accusa forte dolore e bruciore di stomaco. È un soggetto senza particolari problemi di salute, tranne l’ipertensione.

Al triage dell’Ingrassia l’infermiera Prestigiacomo gli assegna un codice verde con l’indicazione di epigastralgia. Secondo l’accusa, sarebbe stato il primo errore: era un codice giallo che avrebbe implicato una valutazione medica più veloce e ulteriori controlli.

Giunto in sala verde il medico Tribuna non avrebbe tempestivamente fatto eseguire gli esami del sangue dai quali sarebbe potuto emergere l’infarto in corso. Infarto che si manifestò una volta dimesso e tornato a casa dopo circa tre ore trascorse in ospedale. Aveva una insufficienza coronarica acuta. Inutile la nuova corsa in ospedale.

La sua morte fu colpa della negligenza e dell’imperizia degli imputati? Secondo il tribunale non ebbero alcuna responsabilità e li ha mandati assolti con la formula piena perché il fatto non sussiste. Accolta la tesi difensiva degli avvocati Pietro Milone, Piero Capizzi, Giovanni Giallombardo e Giuseppe Misuraca.

L’avvocato Piero Capizzi
L’avvocato Pietro Milone

Sul paziente fu eseguito un elettrocardiogramma che, come hanno sottolineato i periti, non mostrava acuzie. Non c’erano segni acuti dell’infarto. Una interpretazione che viene definita “corretta” dai consulenti che hanno eseguito l’autopsia. Al momento delle dimissioni gli furono prescritti il Gaviscon per il bruciore di stomaco e la Tachipirina per il dolore.

Dalla cartella clinica emerge che fu il paziente a rifiutare l’osservazione (che avrebbe comportato un’altra lunga attesa per conoscere l’esito dell’esame degli enzimi cardiaci) e firmare le dimissioni.

Non è provato, come sostenevano i parenti della vittima, che fosse stato il medico a spingere il paziente a optare per le dimissioni, tranquillizzandolo sulle sue condizioni di salute.


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