Palermo: omicidi, risse. Gente armata, pax mafiosa impossibile

Palermo, omicidi e risse. Armati e pericolosi. Pace mafiosa “impossibile”

Bande criminali si affrontano. Scene da Far West

PALERMO – Omicidi, risse, colpi di pistola in mezzo alla gente. Ci sono tante armi in circolazione in una città, Palermo, dove criminalità comune e organizzata si incrociano in maniera pericolosa. Le pistole non restano nella fondina. Un filo rosso parte dai quartieri Brancaccio e Sperone e lega diversi episodi: gli omicidi del boss in ascesa Giancarlo Romano e il tentativo di ammazzare il suo braccio destro Alessio Caruso, la morte di Lino Celesia (assassinato in discoteca), le risse nelle strade della movida e i colpi di pistola esplosi in aria lo scorso dicembre in via Isidoro La Lumia.

Le pistole “immacolate”

In città si affrontano bande di criminali, gli scontri fra i malacarne di borgata diventano questioni di mafia. Romano discuteva con Vincenzo Vella, uno degli arrestati dell’ultimo blitz della squadra mobile. Si erano rivolti a qualcuno per comprare delle pistole. “Basta che sono nuove… immacolate”, “e pure i confetti (le munizioni ndr) ti deve dare”. Allo Sperone, pochi mesi fa, avevano l’esigenza di armarsi.

Probabilmente fra le armi comprate c’era anche la pistola, mai ritrovata, con cui Caruso ha fatto fuoco contro Camillo Mira davanti ad un’agenzia di scommesse in Corso dei Mille. Un regolamento di conti in stile Far West, in pieno giorno e in mezzo a tanta gente, per la gestione mafiosa delle scommesse clandestine. Mira è sceso dalla macchina impugnando la pistola dietro la schiena (“L’ho fatto per difendermi, sapevo che anche lui era armato”, ha detto durante l’interrogatorio quando gli hanno mostrato gli scatti fotografici della scena contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare). Caruso lo ha anticipato esplodendo una raffica di colpi. Non si trova neppure l’arma con cui Mira è stato ferito a una gamba poco prima che uccidesse Romano, andato a dargli la caccia il 26 febbraio scorso in via XXVII Maggio.

Un arsenale

In un passaggio successivo della conversazione Vella spiegava a Romano e Caruso che bisognava tenere d’occhio Pietro Asaro, un tempo braccio destro del boss di Corso dei Mille, Nino Sacco. Asaro aveva sedimentato odio e rabbia perché durante la detenzione la sua famiglia era stata abbandonata. Era molto pericoloso e armato fino ai denti: “Mi ha fottuto 5 revolver… 150 colpi a revolver, 3 giubbottini… i fratini… e le palette. Una 350, una 38, un calibro 9, un calibro 9 con il silenziatore, un calibro 7.75 con il silenziatore…”.

Vella mostrava di essere pronto a usare le armi. Aveva avuto una discussione con qualcuno: “Digli che non fa immischiare a nessuno… digli alle femmine… queste quattro pulle… io farei come a Napoli che… tapa ta tum tum tum, che fanno scappare a tutti”.

In un dialogo intercettato fra Settimo Turturella e Giuseppe Balsamo, altri due arrestati del blitz, a Brancaccio è saltata fuori la figura di un tale “Matteo” o “Mattia” del quartiere Kalsa capace di modificare le armi giocattolo. Una di queste è stata trovata e sequestrata lo scorso agosto assieme ad un’agendina verde con appunti manoscritti e 13 involucri di hashish.

“Hanno i ferri di sopra”

Marco Cucina
Marco Cucina, arrestato per la rissa in via La Lumia

Il 10 dicembre 2023 è il giorno della rissa in via Isidoro La Lumia. La notte in cui furono esplosi i colpi di pistola in aria ci sarebbe stata una discussione fra un gruppo di ragazzi dello Sperone e uno di via Cipressi, quartiere Zisa. Fra i presenti c’erano Salvatore Kevin Cardella, nipote di Alessio Caruso, e i fratelli Angelo e Gaetano Fernandez, figli di Salvatore (l’uomo che ha ucciso a colpi di pistola il boss Giuseppe Incontrera).

Ad esplodere i colpi di pistola in aria è stato Marco Cucina, pregiudicato per reati contro il patrimonio, monitorato nel corso di alcuni incontri con Giancarlo Romano e Vincenzo Adamo, genero di Stefano Marino, mafioso di Brancaccio. La notte delle pistolettate Giuseppe Chiarello era in via La Lumia dove ha incontrato Girolamo Castiglione, soprannominato “u spara spara”, pregiudicato per droga: “Giuseppe dove stai andando?… è successo un bordello, si stanno ammazzando, sono conoscenti… hanno i ferri di sopra… c’è Totò nel mezzo… Mario, Kevin”. Successivamente era Castiglione a informare Chiarello: “… hai visto chi sono questi i figli del morto i figli di quello che ha ammazzato, u Fernandez… che ha ammazzato u Cuntrera… sono tutti quelli della via Cipressi… quello ha cominciato a sparare… Marco, Marco u Cucina”.

La rissa aveva avuto avuto un precedente la settimana prima davanti alla discoteca Notr3, quella in cui il 21 dicembre è stato ucciso Lino Celesia. Castiglione era sorpreso del ruolo dei Fernandez: “… meno male che ha sparato in aria… ora dico io com’è che questi picciutteddi gli fanno fare queste cose, cioè hai capito che un padre ha buttato per terra una persona e sono tutti qua e gli date confidenza”.

Le “persone più grandi”

Chiarello voleva punire subito lo sgarbo: “Questo ora ci sarebbe di fare la squadra e di scendere posto dentro perché dovrebbero essere loro a prendere provvedimento”. In un passaggio successivo faceva riferimento alle armi con un uomo non identificato: “a portata di mano li abbiamo…”.

L’omicidio del boss

La lite era diventata una faccenda che doveva essere discussa con “persone più grandi”. Giancarlo Romano, boss in ascesa a Brancaccio, fu messo al corrente della vicenda e si attivò. Andò a parlare “con quelli della Zisa” ma al momento era da escludere una “pacificazione”. Avevano tutti le peggiori intenzioni. Si temeva una “escalation di violenza e il concreto pericolo di un utilizzo reiterato di armi da fuoco”. Era diventata una faccenda di mafia ma colui che la doveva gestire, Romano, è stato ucciso.


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