PALERMO – Ci sono due confessioni agli atti dell’inchiesta sull’omicidio avvenuto allo Sperone. La Procura di Palermo ha fermato Camillo e Antonio Mira, padre e figlio, e Alessio Caruso.
Il più grande dei Mira ha ammesso di avere sparato e ucciso Giancarlo Romano. Lo avrebbe fatto solo per difendersi, però. La vittima e Caruso, ancora ricoverato in gravi condizioni, gli hanno dato la caccia per vendicarsi. I Mira erano andati a sparare a Caruso davanti ad un’agenzia di scommesse in corso dei Mille. La ritorsione non si fece attendere. Solo che ad avere la peggio sono stati Romano e Caruso.
“Si sono arrampicati sul portone. Hanno iniziato a sparare, o mi difendevo o morivo“, ha raccontato Camillo Mira ai poliziotti. Nella sua confessione avrebbe però cercato di sminuire il ruolo del figlio, fermato per il tentato omicidio di Caruso.
Gli agenti hanno anche raccolto la testimonianza di un secondo figlio che ha parlato del giro di sommesse clandestine e dei soldi (2.500 euro) reclamati da Caruso come percentuale sulle puntate. Il giovane racconta di essere stato colpito con un pugno in fronte. Ha cominciato a sanguinare. Nulla, però, sostiene di avere visto delle fasi del delitto avvenuto in via XXVIII Maggio: “Vedo mio padre che si puliva il sangue da una ferita che aveva alla gamba… mentre io stavo aprendo il portone del garage ho sentito di nuovo colpi. Io non ho visto arrivare gli aggressori ma le persone presenti mi hanno riferito che si trattava di sei persone a bordo di tre motori”.
Il suo racconto prosegue: “Ho richiuso il portone e sono scappato. Ho sentito grida e almeno cinque colpi di arma da fuoco, sono uscito e ho visto due corpi a terra“. Non aggiunge altro. Pm e poliziotti sono al lavoro per completare il lavoro investigativo sia sul ruolo mafioso di Romano che sul giro di scommesse clandestine e l’identificazione degli altri protagonisti di cui i testimoni non hanno fatto i nomi.