Mattarella disse: “Se dovesse succedermi qualcosa di molto grave"

Quando Mattarella disse: “Se dovesse succedermi qualcosa di molto grave…”

Figure istituzionali hanno "sviato, depistato ritardato le investigazioni"

PALERMO – Avrebbe finto di consegnare ad un poliziotto il guanto di uno dei killer di Piersanti Mattarella. Questa inziale bugia “generò una stasi investigativa a causa della quale il guanto venne definitivamente dimenticato”.

“Figure istituzionali hanno sviato”

L’episodio sarebbe uno degli elementi del depistaggio contestato all’ex poliziotto Filippo Piritore. Ma non è l’unico. “Non si rivela una inaudita novità – si legge nell’atto d’atto d’accusa della Procura di Palermo – che per tale delitto figure istituzionali abbiano sviato, depistato, inquinato, ritardato le investigazioni sugli autori materiali del delitto, addirittura attraverso la soppressione di una fonte di prova privilegiata, l’unica che avrebbe potuto condurre direttamente all’assassino”.

Perché ciò sarebbe avvenuto? “Per finalità di copertura la cui intima essenza rimane oggetto degli accertamenti in corso sull’identificazione degli autori dell’omicidio”. Un capitolo, dunque, ancora tutto da scrivere.

Il questore

A proposito dei depistaggi, viene tirato in ballo l’allora questore di Palermo Vincenzo Immordino, definito protagonista “di due tentativi di sviamento delle indagini”. Per uno di questi sarebbero stati sentiti con notevole ritardo testimoni fondamentali come lo stesso ministro degli Interni Virginio Rognoni, da cui era andato Mattarella poco prima del delitto.

Mattarella e l’incontro con il ministro Rognoni

Il capo di Gabinetto del presidente della Regione, all’indomani dell’omicidio, disse che “nell’ottobre 1979, immediatamente dopo il rientro da Roma, ove ebbe un incontro con il ministro Virginio Rognoni per i problemi siciliani – le aveva confidato “se dovesse succedermi qualcosa di molto grave per la mia persona, si ricordi di questo incontro con il Ministro Rognoni, perché a questo incontro è da collegare quanto di grave mi potrà accadere”.

I servizi segreti e Vito Ciancimino

Il capo centro del servizio segreto Sisde, Giovanni Ferrara, aveva scritto un appunto per il direttore del Sismi, scrivendo che i sospetti si appuntavano su “un giovane killer non siciliano appartenente a un non precisato gruppo terroristico di sinistra”.

Immordino avrebbe definito “persona qualificata e attendibile” persino l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, non a caso già allora ritenuto uno dei possibili corresponsabili dell’omicidio. Don Vito era il personaggio chiave del contesto politico-mafioso in cui sarebbe maturata la decisione di uccidere Mattarella.

Ciancimino è morto nel 2002. Il suo nome ha fatto capolino nelle sentenze per gli omicidi politici (il segretario provinciale della Democrazia cristiana Michele Reina, Piersanti Mattarella, e il segretario regionale del Pci Pio La Torre), ma la sua responsabilità diretta non è stata accertata.

Di sicuro don Vito era l’interfaccia dei corleonesi. Mattarella, presidente “dalle carte in regola”, rappresentava un ostacolo per chi faceva soldi a palate con gli appalti e le concessioni edilizie che cementificarono Palermo. Potrebbe non essere stato casuale il depistaggio di Ciancimino che indirizzò le indagini verso le Brigate rosse. Proprio come fece per l’omicidio di La Torre mettendo in giro la teoria che bisognava guardare dentro il partito comunista.

Bruno Contrada

Poi spicca la figura di Bruno Contrada, dirigente del centro Criminalpol per la Sicilia occidentale e dirigente ad interim della squadra mobile di Palermo dopo l’omicidio di Boris Giuliano, avvenuto il 21 luglio 1979.

L’ex numero tre del Sisde, oggi 94enne, fece una serie di indagini sull’omicidio, sentendo personalmente sia la vedova, Irma Chiazzese, che il figlio della vittima, Bernardo Mattarella. Piritore aveva subito detto di aver informato il proprio dirigente, appunto Contrada, del ritrovamento del guanto – poi sparito – trovato nell’auto dei killer.

Contrada è stato condannato a 10 anni per concorso in associazione mafiosa. Sentenza poi dichiarata “ineseguibile” prima dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e poi dalla Cassazione, ma questo – secondo i pm di Palermo – non toglie alcuna forza al valore dei fatti accertati, e cioè i rapporti fra Contrada e boss mafiosi, tra cui Totò Riina. Contrada nega con forza il suo coinvolgimento nel mistero del guanto.


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