La notizia battuta dall’agenzia Italpress suona così: “Un cittadino mauriziano è stato arrestato dai carabinieri per il furto di una bicicletta. E’ accaduto in via Cavour, a Palermo. In manette è finito Sailewsh Kumar Mohabir, di 41 anni. L’uomo, non appena si è accorto dei militari, ha tentato una breve fuga ed una volta raggiunto si è scagliato contro di loro, tentando di colpirli con calci e pugni. Ma alla fine è stato bloccato e sottoposto in stato di fermo. Dopo la convalida del provvedimento è stato rimesso in liberà, in attesa del processo. Dovrà rispondere non solo del reato di furto aggravato ma anche di resistenza a pubblico ufficiale”. Ecco, questa è una di quelle notizie che provocano un inusitato e probabilmente erroneo rigurgito di tenerezza al cronista. Sembra l’anacronistico racconto del ratto del cavalluccio nell’indimenticato “Così parlò Bellavista” tratteggiato da Riccardo Pazzaglia (beato chi l’ha visto, peccato per chi l’ha perso e peggio per lui). E’ una stravagante e bislacca cosa, anche se ci dispiace per i calci e i pugni. Noi uno così l’avremmo premiato. Gli avremmo concesso la cittadinanza onoraria per il suo furto in bianco e nero. Ladri di biciclette non se ne vedevano più da tempo. I ladri di biciclette come le lucciole di Pasolini, testimoni struggenti di un’epoca migliore. E dispiace che il carcere – in un momento in cui regnano nobilissimi furfantoni rigorosamente a quattro ruote – sia il destino prescritto per tanto traboccante amarcord, da un codice evidentemente privo di fantasia.
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