PALERMO – Devono avere festeggiato il ritorno a casa del boss. La settimana scorsa Nunzio Milano ha finito di scontare la condanna a 9 anni. Il suo nome va ad ingrossare la lista degli scarcerati a cui non si può non prestare attenzione. La storia insegna che sono più i mafiosi che, una volta in libertà, tornano a delinquere di quelli che scelgono di defilarsi.
Solo il tempo – con le eventuali indagini – dirà se Milano ha imparato la lezione. Una chance va riconosciuta a tutti. Anche a chi, come lui, è da sempre al centro delle dinamiche mafiose del mandamento di Porta Nuova che ingloba la parte centrale di Palermo.
Un mandamento importante nella mappa di Cosa Nostra, teatro – e non è un caso – di due omicidi irrisolti. A Porta Nuova sono stati ammazzati il vecchio capomafia Giuseppe Dainotti e il più giovane e ambizioso Giuseppe Di Giacomo. Sono omicidi per cui non c’è ancora un colpevole.
Potere, sangue e ‘tragedie’ segnano la recente storia a Porta Nuova. Milano fu arrestato l’ultima volta nel 2014 (è stato scarcerato ora in virtù dello sconto di pena che spetta a tutti detenuti per buona condotta). Venne fuori l’acredine che nei suoi confronti provava Giovanni Di Giacomo, killer ergastolano del gruppo di Pippo Calò, e fratello di Giuseppe, crivellato di colpi alla Zisa. Di Giacomo vedeva in Nunzio Milano un ostacolo per l’ascesa al potere del fratello.
Giuseppe Di Giacomo cadde sotto i copi dei killer il 12 marzo 2014. Un anno prima aveva incontrato il fratello detenuto nel carcere di Parma. Gli disse di avere parlato con “Vaviettu (soprannome di Milano) qua… mi ha visto… era tutto impacciato… sai quando uno ha il carbone bagnato… io lo guardavo fisso…”.
Poi, la frase più importante: “Ora… lui… fra un mese dice forse dovrebbe uscire… prende e mi fa a me… digli a tuo fratello che si deve tirare indietro… perché lui farà di tutto… andrà naschiando… e subito se ne andrà da Carlo e andrà a sparlare di te… per cercare di fotterti a te… lui nella sua scemenza di fotterci a noi altri… gli dici… appena lui fa questo… sa quello che deve fare…” .
Carlo è Alessandro D’Ambrogio, allora libero e oggi detenuto: sta scontando una condanna per il suo ruolo di capo del mandamento.
C’è un particolare, però, che smentiva il racconto. Era impossibile che Di Giacomo e Milano si fossero incontrati, detenuti in due ali separate del carcere. Di Giacomo, dunque, si era inventato l’incontro con il boss scarcerato la settimana scorsa. Perché? Perché fra di loro non correva buon sangue tanto che Giovanni Di Giacomo pensava di vendicare la morte del fratello programmando una serie di omicidi, sventati dal blitz che portò in carcere anche Milano.
Sono passati anni da quella stagione e di cose ne sono cambiate parecchie. Nunzio Milano non è il solo componente della famiglia tornato in libertà. Lo hanno preceduto il fratello Salvatore, che tutti chiamano Totuccio, e suo figlio Nicola.
Quest’ultimo apprese mentre era detenuto che suo “padrino”, Nicola Ingarao, era stato massacrato per volontà di Salvatore Lo Piccolo. Fu la ritorsione contro Nino Rotolo, il capomafia di Pagliarelli che aveva messo le mani sulla città e dichiarato guerra al “barone” di Tommaso Natale.
Lo Piccolo voleva dettare legge ovunque e decise di piazzare a Porta Nuova un altro scarcerato eccellente, Tommaso Lo Presto, soprannominato il lungo per distinguerlo dal cugino detto il pacchione. Lo Presti ha finito di scontare la sua pena nel 2020, così come un altro pezzo grosso della famiglia, Calogero Pietro. Quest’ultimo era lo zio Pietro che da una stalla sudicia in via Colonna Rotta dettava gli ordini al clan. Lo arrestarono nel 2011.
I Lo Presti sono imparentati con un’altra storica famiglia mafiosa che ha piazzato due uomini al comando del mandamento mafioso: i fratelli Gregorio e Tommaso Di Giovanni. Il primo è stato arrestato nel 2018 perché partecipò alla riunione della nuova cupola di Cosa Nostra. Nel 2018 sua figlia ha sposato Emilio Greco, fratello di Leandro e cugino di Giuseppe, che prima di finire in carcere si sarebbero alternati alla guida del mandamento di Ciaculli. Un matrimonio dal forte valore simbolico, dunque.
Il fratello, Tommaso Di Giovanni, dipende dai calcoli, potrebbe finire di scontare la condanna la prossima estate. E anche lui è un personaggio da tenere d’occhio.
Chi in libertà c’è già è Massimo Mulè. Tra ricorsi e controricorsi al Tribunale del Riesame è stato scarcerato nonostante la Procura lo consideri il capo della famiglia mafiosa di Ballarò, che fa parte del mandamento di Porta Nuova.
Fra scarcerazioni avvenute e altre imminenti il mandamento va tenuto sotto osservazione. Qualche tempo fa era scoppiata una lite furibonda al Borgo Vecchio, altra famiglia mafiosa del mandamento. Qualcuno pensava di chiedere l’intervento della “testa”. La “testa” era ed è il capo.
La lite coinvolse i fratelli Massimiliano Jari, Daniele e Gabriele Ingarao da una parte e i fratelli Angelo e Girolamo Monti dall’altra. Secondo l’accusa, Angelo Monti sarebbe l’ultimo laeder di Borgo Vecchio, mentre Jari uno dei suoi uomini più fidati. Sono zio e nipote. La moglie di Monti è sorella della mamma di Ingarao, a sua volta figlio di quel Nicola Ingaro, ammazzato da Lo Piccolo.
Ed ecco che Jari Ingarao pensò di chiedere l’intervento di un personaggio di cui non si conosce l’identità. “Io me ne vado proprio alla testa… e che fa… e buca… a discorso… buca… a discorso… come hanno bucato sempre…”, spiegava Jari Ingarao. Chi comanda oggi a Porta Nuova, il regno che fu di Pippo Calò e di Tommaso Buscetta?