Palermo "Spese pazze" Ars: "Condannate Pogliese e gli altri"

“Spese pazze” all’Ars: “Condannate Pogliese e gli altri”

La Procura generale chiede la conferma della sentenza di primo grado

PALERMO – La Procura generale chiede la conferma della sentenza di condanna per le cosiddette “spese pazze” all’Ars.

Queste le pene inflitte in primo grado per peculato: Salvo Pogliese Pdl (4 anni e 3 mesi), Cataldo Fiorenza Gruppo Misto (3 anni e 8 mesi), Giulia Adamo Pdl, gruppo Misto e Udc (3 anni e 6 mesi), Rudi Maira Udc e Pid (4 anni e 6 mesi), Livio Marrocco (Pdl e Futuro e libertà (3 anni).

Fu la condanna inflitta in primo grado a fare scattare l’iter che portò, lo scorso luglio, alle dimissioni di Pogliese da sindaco di Catania, sospeso dall’incarico in applicazione della legge Severino. Da qualche mese Pogliese è diventato senatore, eletto in Fratelli d’Italia, il partito del premier Giorgia Meloni, di cui è divenuto uno dei maggiorenti siciliani.

L’inchiesta della Procura iniziò nel 2014. Più di ottanta, fra parlamentari regionali e impiegati dei gruppi parlamentari, finirono sotto inchiesta. Una prima scrematura condusse i pubblici ministeri ad escludere dalle contestazioni le spese milionarie per gli impiegati.

Finirono sotto processo solo i capigruppo in carica dal 2008 al 2012. Poi arrivò la prima sentenza in abbreviato. Il giudice per l’udienza preliminare stabilì che per potere contestare il reato di peculato devono verificarsi due condizioni: “La prima è che vi sia prova del fatto che sono state effettuate da parte del parlamentare regionale delle spese attraverso i contributi erogati dall’Assemblea regionale siciliana in capo a ciascun gruppo parlamentare, mediante l’esibizione della relativa documentazione fiscale, contabile ed extracontabile”.

“La seconda condizione – si leggeva nella motivazione – è che vi sia prova del fatto che quella spesa sostenuta dal parlamentare regionale e comprovata dalla documentazione fiscale acquisita agli atti, sia stata diretta a perseguire un fine non rispondente a quello istituzionale per il quale era stato in precedenza erogato il contributo, essenzialmente legato al funzionamento del gruppo parlamentare che ne è stato il beneficiario”.

Avrebbe dovuto essere il pubblico ministero a dimostrare che davvero quei soldi fossero spesi per fini non istituzionali e non l’imputato a doverli giustificare. Non si poteva ribaltare l’onere della prova. Prova che, secondo l’accusa, sarebbe emersa nel caso dei sei imputati.

Fra le spese contestate c’erano i soldi per comprare borse pregiate, gioielli, auto. E persino multe, fumetti e pandori come emerse dagli accertamenti dei finanzieri del nucleo Tutela spesa pubblica del Nucleo di polizia economico-finanziaria.

A Pogliese venivano contestate spese per 75 mila euro. Tra queste, 1.200 euro per la “sostituzione di varie serrature e varie maniglie per porte, con saldature varie ed aggiunzioni pezzi di canaletto per tenuta vetri, pulitura con flex nelle parti ossidate con passaggio di pittura antiruggine” nello studio catanese del padre, la permanenza in albergo anche dei familiari e 280 euro per la retta scolastica del figlio.

Il senatore ed ex sindaco ha sempre sostenuto non solo che all’epoca dei fatti non c’era alcun obbligo di rendicontazione, ma che aveva anticipato soldi per pagare contributi previdenziali e stipendi ai dipendenti del gruppo. Di fatto la cifra di 75 mila euro altro non sarebbe stata che una somma recuperata dell’onerosa anticipazione effettuata. Nessun reato, dunque. Nessuno scandalo, sostiene la difesa.

Dopo le richieste di condanna avanzate dal sostituto procuratore generale Carlo Marzella la parola passa ora agli avvocati delle difese. Previste due udienze, il 25 gennaio e il 22 febbraio. Poi il verdetto della Corte presieduta da Adriana Piras.


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