Villa Sofia, un giorno normale di caos: 'Qui è un macello'

Villa Sofia, un giorno normale di caos: ‘Qui è un macello’

La cronaca di una giornata in ospedale, tra porticine, domande e utenti che perdono la pazienza.

Sembra un po’ di stare in certe fiabe, dove ci sono delle porticine magiche. Bussi e risponde qualcuno che ti dà una dritta utile per andare a salvare la principessa, oppure ti rifornisce di ghiande fatate che torneranno buone al momento opportuno. Ma le porticine dell’ospedale ‘Villa Sofia’ di Palermo – a cui bussi per avere informazioni di altro tipo – danno su locali abitati da persone gentilissime che, però, nove volte su dieci, ti dicono che hai sbagliato porticina. Che devi bussare a quella accanto. E una volta che avrai bussato a quella accanto, un’altra persona gentilissima, magari, ti dirà la stessa cosa. E, a un certo punto, le porticine finiscono, come le risposte.

Ma uno non deve scoraggiarsi. Questo, infatti, nonostante le apparenze, è il racconto di una difficile speranza, pure nel caos normale della nostra sanità. Da cosa è data? Soprattutto, al netto di qualche eccezione statistica, dall’abnegazione degli operatori. Nel viaggio di una mattinata tra le prestazioni ambulatoriali, nonostante la pressione, abbiamo incontrato persone sommamente cortesi.

E’ davvero un giorno di caos calmo a Villa Sofia, siamo, cioè, nel perimetro piuttosto ampio dell’ordinario. Se nessuno comincia a dare testate al muro, con rincorse di cinquecento metri, la situazione è da ritenersi sotto controllo. Anche se divampano, improvvisamente, urla in forma di assalto Apache alla diligenza, per fortuna ben lontano dall’area della Cardiologia. Anche se ci sono utenti – si chiamano così – che vagano, di porticina in porticina, con l’occhio stralunato. Anche se può esserci lo ‘zerovirgola’ che ti fa dannare, cosa che viene metabolizzata in chiave melodrammatica.

Succede questo: tu porti la ricetta a cui manca uno ‘zerovirgola’ per essere perfettamente conforme al dettato regolamentare. Dallo sportello fanno legittima opposizione, l’ambiente si surriscalda, inizia una complicata diatriba burocratica e filosofica che parte dai sofisti e arriva al Var. Gli altri, nel frattempo, attendono.

Sembra un po’ di stare in certe fiabe dove, sì, tutto può definirsi normale, fino a quando non si manifesta il drago. Che qui è rappresentato da un ‘utente’ che, nella sommità del suo disagio, comincia a infiammarsi e a dare di matto. E non mancano i panormitani classici di un certo tipo. Ma quale fila, per piacere, dottò! Passo deciso verso una delle tante porticine, nocche che picchiano furiosamente come per un’irruzione all’alba. Prima o poi qualcuno apre, mostrando una faccina attonita e spaventata, quasi un emoticon dell’apprensione.

Pure le indicazioni non è che aiutino granché. Le scritte sulle porte dei reparti, nel rimescolamento pandemico di luoghi e cose, sembrano gli indovinelli della Settimana Enigmistica. Alludono a scalinate, a misteriose e ‘portoncini’ (variazione sul tema), a percorsi che un esperto del posto riconoscerà, ma il resto? Così, non rimane che andare a caccia del primo camice bianco nei paraggi, seguirlo con atteggiamento circospetto e sparare a zero la domanda: “Scusi, per la chirurgia?”.

Prova che ti riprova, ecco la porticina giusta, quella del prelievo. Lampeggiano sorrisi luminosi, pazienti e professionali che fanno onore alla nostra Sanità. Un balsamo nel giorno del caos calmo. Ma, appena fuori, una dottoressa sussurra: “Qui è un macello ogni santo giorno”.


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