CALTANISSETTA – Rivendica la sua professionalità. La difende sin dalle prime battute della sua deposizione. Gaetano Cappellano Seminara cita numeri su numeri. “Non per autocelebrazione”, spiega mentre consulta degli appunti. È arrivato in aula con una borsa e due grossi raccoglitori di plastica, di quelli che servono per archiviare le pratiche.
A Caltanissetta è il giorno dell’esame dell’imputato Cappellano Seminara, una delle figure chiave del processo. Secondo l’accusa, rappresentata oggi in Tribunale dal pm Claudia Pasciuti, il più noto fra gli amministratori giudiziari era il perno del sistema illecito voluto dall’ex presidente della sezione misure di prevenzione di Palermo, Silvana Saguto. Cappellano Seminara avrebbe ottenuto incarichi su incarichi in cambio di favori al magistrato: dalle consulenze assegnate al marito di Saguto, Lorenzo Caramma, alle tangenti in contanti.
“Nel 1985 ho assunto il mio primo incarico in un’amministrazione giudiziaria. Nell’arco di una decina di anni ho creato una struttura per gestire le misure di prevenzione – racconta -. Da allora ne ho gestito 55. Su di me e sulla mia storia personale e professionale si è abbattuta una burrasca nel 2015. Sono stato paragonato, seppure abbia grande rispetto per i miei colleghi, ad amministratori giovani con una storia ben più breve. Sono stato paragonato a chi aveva cinque anni di attività”.
Ed ecco i numeri per testimoniare che il suo impegno nel settore va oltre il rapporto con Saguto: “Sono passato all’esame di 20 collegi, 17 presidenti di tribunali, 33 giudici delegati diversi e dislocati a Palermo, Agrigento, Trapani, Roma e Caltanissetta. A Caltanissetta fui chiamato dal presidente Carini per implementare la sezione misure di prevenzione che mi attribuì la gestione della Calcestruzzi gruppo Italcementi. Fu una sfida ma mi sentivo pronto perché avevo una squadra di architetti, ingegneri e altri professionisti”.
Erano anni in cui in pochi lavoravano nel settore: “Quando mi fu assegnato di gestire il gruppo Piazza gli amministratori giudiziari disponibili si contavano sulle dita di una mano, molti non volevano occuparsene, i penalisti erano incompatibili per ragioni professionali. Con i beni dei fratelli Sansone in pratica significava avere a che fare con Totò Riina, ospitato in una villa dei Sansone”.
Poi, ricorda di essere stato chiamato da Giovanni Fiandaca e Costantino Visconti ad insegnare nel corso per amministratori giudiziari organizzato dall’Università di Palermo, o dal Csm alla scuola di alta specializzazione per i magistrati. Il suo legale, l’avvocato Sergio Monaco, arriva al cuore della questione. Gli chiede del “rapporto sillagmatico” contestato dai pm sulla base del quale lui faceva lavorare il marito di Saguto e Saguto lo ricompensava con nuovi incarichi: “Respingo questa accusa infamante che ha distrutto la vita, a me e ad altri. Mai intessuto rapporti definiamoli corruttivi men che meno con persone con cui mai mi sarei potuto sognare di averli. Mai dato denaro, mai promesso alcunché, ho cercato di mantenere la mia vita ispirata ai principi di onestà, fedeltà. La finanza è stata un anno nel mio studio. Ho messo a disposizione tutto. I conti miei, dei figli, di mia moglie e della mia ex compagna, non c’è un solo pagamento in contanti”.