CATANIA – “La mia famiglia di appartenenza in Calabria è la cosca Molè…”. Enrico D’Ambrosio, narcotrafficante pentito della ‘ndrangheta. Accusa i ‘catanesi’ finiti nel mirino della guardia di finanza e svela i retroscena dell’importazione di cocaina al porto di Catania.
Fa nomi e cognomi e parla delle relazioni di alcuni degli arrestati, tra i quali spicca Nino Vasta. Accusato di appartenere al clan Cappello “che si accompagnava spesso a un cantante, Niko Pandetta“.
Il neomelodico non compare tra gli indagati dell’ultima operazione della Procura e sta scontando una condanna definitiva per spaccio di droga. Agli atti si parla di una cena alla quale avrebbe partecipato l’allora affiliato alla ‘ndrangheta.
Il pentito della ‘ndrangheta accusa i catanesi
“La mia famiglia di appartenenza in Calabria è la cosca Molè. Nel maggio 2022 venni contattato per risolvere un problema in merito all’esfiltrazione di una partita di sostanza stupefacente del tipo cocaina in arrivo al porto di Catania, pari a circa 106 kg”.
Un affare del valore di milioni di euro, una grande partita di droga e un appartenente alla ‘ndrangheta che viene contattato per un traffico di cocaina che passava da Catania, Enrico D’Ambrosio.
E un ‘Omissis’ inserito in corrispondenza del nome dell’anello di congiunzione tra i clan etnei e la cosca Molè. C’è un personaggio top secret agli atti della Procura di Catania, all’interno dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo. Un nome che il collaboratore di giustizia ha fatto e che, per adesso, non viene svelato: un segnale che le indagini potrebbero proseguire.
Il contatto segreto
Insieme al contatto segreto, a cercare D’Ambrosio sarebbe stato anche “tale Paco, che conosco come Giuseppe Curciarello di Siderno”, ha detto il collaboratore
Il pentito racconta di essere arrivato a Catania con una Fiat 500 X bianca noleggiata. Lo ospitano in alcuni bungalow di legno nella zona del Tondicello della Plaia, luogo simbolo del clan, si tratta di appartamenti con piscina.
“A Catania – continua il collaboratore – mi ricevettero un ragazzo catanese, tale Nino Vasta e Peppe Curciarello (detto Paco). Questi mi disse che c’era un’altra persona di nome Angelo (persona che il D’Ambrosio riconosceva in Angelo Di Mauro, ndr.), che aveva una autovettura 500 a due porte”.
“Pandetta chiamava Vasta ‘Patrozzo'”.
D’Ambrosio parla di Nino Vasta, uno degli indagati chiave della Procura etnea: “Nino Vasta appartiene alla famiglia Cappello di Catania, è nipote di Franco Egitto per quel che ricordo, e si accompagna spesso ad un cantante, tale Nico Pandetta che si riferiva a Vasta chiamandolo ‘Patrozzo'”.
“Ricordo – aggiunge il collaboratore – che vennero a trovarci in quella occasione e siamo andati insieme a cena”.
Niko Pandetta, però, non era coinvolto in quel traffico di droga, il collaboratore parla del suo rapporto con uno dei trafficanti che accusa di essere “affiliato ai Cappello”. Non è un riferimento qualunque, il boss del clan è Turi Cappello, lo zio di Niko Pandetta.
Il Puntina e l’ingresso al porto
“Dopo il mio arrivo a Catania – spiega il collaboratore – il sabato sera precedente al sequestro della partita di sostanza stupefacente che tentavo di recuperare, io e Paco siamo entrati al porto di Catania, all’interno della quale ricordo che vi è una discoteca”.
Il collaboratore parla di un altro retroscena. Che confermerebbe le dichiarazioni di Carmelo Liistro sul ruolo centrale del clan Puntina al porto etneo, uno di loro avrebbe consentito l’ingresso in auto parlando con un esponente delle forze dell’ordine.
“Nino Vasta venne insieme a tale Angelo (Di Mauro, ndr.) a bordo di un’altra autovettura e detto ”Angelo” ci consentì di entrare al porto perché riuscì a fare alzare la barra di accesso interloquendo con il soggetto addetto alla sicurezza”.
Di Mauro “aveva rapporti”, insiste il pentito, con Angelo e Melino Sanfilippo, due degli arrestati nel blitz del Gico.
La cocaina e il problema nel container
“Il problema era legato alla lamiera del tetto del container – rivela D’Ambrosio – all’interno del quale era stata occultata la sostanza stupefacente e che si era dissaldata. Fu messo del nastro adesivo per tenere la lamiera abbassata. lo mi irritai perché questo espediente avrebbe potuto rendere pericolosa l’esfiltrazione della sostanza stupefacente”.
Il collaboratore ricorda di aver notato la presenza di telecamere di sorveglianza all’ingresso del porto, temeva di essere identificato, perché guidava la Fiat 500 noleggiata a proprio nome.
Per abbassare la lamiera divelta del container con la cocaina, era stato posizionato un altro container sopra quello danneggiato. Ma le cose non andarono bene: la guardia di finanza sequestrò gli stupefacenti.
La droga e il clan Laudani
Il collaboratore rivela un altro particolare importante per le indagini: la cocaina “era destinata ai Mussi, i Laudani, soggetti considerati molto seri e in grado di onorare gli impegni economici.
Poi un elenco di nomi. “Antonio Scarfò che era insieme a Curciarello”. Eseguiti anche riconoscimenti fotografici: “Angelo Sanfilippo, soggetto che ho prima indicato come papà del soggetto che lavora al porto e che fungeva da intermediario tra noi e il figlio”.
“Riconosco l’effige di Peppe Curciarello di Siderno – dice D’Ambrosio – è molto più giovane nella foto rispetto a quando lo ho conosciuto, detto ‘Paco’”. Gli altri nomi: “Nino Vasta e Angelo Di Mauro”.
Quanto basta agli inquirenti per trovare molte conferme che cercavano, prima di eseguire il blitz.