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Se il pesce puzza dalla testa | Il grande business di Cosa nostra

Tagliavia, Graviano, Guttadauro, Rinzivillo, Calcagno: storie di mafia e di affari.

PALERMO – Più che massiccia la presenza è invasiva. I potentati mafiosi sono fra i più attivi nel mercato del pesce.

Tagliavia, Graviano, Guttadauro, Rinzivillo: quando si ha un cognome pesante si spalancano le porte degli affari. E che affari: dalla grande distribuzione alle rivendite al dettaglio, fino ai ristoranti di Milano e Roma.

Le imprese sono intestate a chi in famiglia era rimasto finora fuori dalle inchieste giudiziarie. Antonio e Crocifisso Rinzivillo, boss storici di Gela, detenuti da anni, avrebbero passato il testimone al fratello Salvatore, il quale, oltre a reggere il clan, sarebbe divenuto socio dei Guttadauro di Brancaccio. In particolare di Francesco, figlio di Giuseppe, u dutturi, l’ex chirurgo dell’ospedale Civico che si è trasferito a vivere a Roma dopo avere scontato una lunga condanna per essere stato l’erede dei fratelli Graviano.

Nell’aprile 2016 Rinzivillo e Guttadauro hanno pianificato l’esportazione di pesce dal Marocco. Decisiva, però, sarebbe stata la complicità di altri imprenditori. Tra questi i gelesi Carmelo e Angelo Giannone, padre e figlio, amministratori della Ittica San Francesco. “Facciamo un poco a Milano, un poco a Roma, un poco a Torino”, diceva Carmelo Giannone. Francesco Guttadauro era certo che gli affari sarebbero andati a gonfie vele perché “io a Roma conosco a questo… e c’ho un po’ di agganci per i ristoranti… un amico mio a Milano mi ha detto che lui ha due grossisti al mercato di Milano… scarichi il pese bello e qua ci sono i piccioli”.

È dalla Sicilia, però, che gli affari dovevano partire perché è nell’Isola che cognomi come Guttadauro e Rinvillo possono essere spesi con maggiore successo. Ecco gli incontri al mercato di Porticello, uno dei più attivi della provincia palermitana, dove Salvatore Rinzivillo discuteva con Francesco Guttadauro e il fratello Filippo. Oppure a Mazare del Vallo, nel Trapanese, e a Marzamemi, nel Siracusano. C’era sempre qualcuno dal passato o presente mafioso alla cui porta si poteva bussare.

Nei mesi scorsi in carcere è finito Pietro Tagliavia, considerato il reggente della famiglia di corso dei Mille. Ed ecco un altro cognome pesante. Basta ricordare che il nonno, Francesco Tagliavia, arrestato nel 1993, è stato condannato all’ergastolo per la strage di via D’Amelio. I Tagliavia con il pesce ci lavorano da decenni. Direttamente o indirettamente. L’ultimo affare è quello del negozio di surgelati di via Franz Liszt, a Palermo, di cui è socia la moglie di Pietro Tagliavia. Fu lui, però, il 21 agosto 2014 a presentarsi al commissariato Zisa-Borgo Nuovo. Arrivò tenendo in mano un sacchetto che conteneva le microspie piazzate dagli investigatori nel quadro delle luci d’emergenza e in una presa elettrica del locale.

Assieme a Tagliavia è stato arrestato anche il cognato Giovanni Lucchese, figlio di Antonino che sta scontando l’ergastolo per gli omicidi dei poliziotti Ninni Cassarà e Roberto Antiochia. Sarebbe lui il vero padrone della Nemo Fish, un ingrosso nella zona di via Giafar finito sotto sequestro.

Nel giugno 2014 sul telefono di Giuseppe Lo Porto, braccio operativo di Tagliavia, pure lui in manette nel blitz, giunse la telefonata di Giuseppe Buttitta, padre di Francesca, la moglie di Filippo Graviano. Lo Porto faceva il punto della situazione con la moglie. Aveva fatto da tramite fra Benedetto Graviano e Pietro Tagliavia. ”Siccome c’è il fratello di Graviano a Palermo, Benedetto”, diceva Lo Porto, il quale aggiungeva che gli era stato fornito un indirizzo di Roma dove la cognata di Benedetto voleva aprire una rivendita di prodotti surgelati. Non solo la moglie di Filippo, ma anche quella di Giuseppe, Rosalia Galdi, detta Bibiana, si era attivata affinché Lo Porto facesse una trasferta nella Capitale: “… chissà, che vuole aprire la fuori. E allora Francesca e Bibiana mi diedero questa via mi dissero… vai a trovarlo”.

Quando nel 2015 fu azzerata l’ultima rete di boss e picciotti del mandamento di Porta Nuova emerse la figura del nuovo reggente Paolo Calcagno che con il pesce faceva grandi affari. Con il suo braccio destro, Giuseppe Ruggeri, controllavano l’intera filiera. Dalle forniture all’ingrosso alla vendita al dettaglio nei mercati storici di Palermo. La loro scalata illecita del mercato fino a raggiungere il monopolio era passata attraverso due imprese: la Frescogel e la Worldfish, entrambe sequestrate. Hanno sede in via Tiro a Segno e in via Cappuccinelle. “A Palermo tutto ruota intorno a me forse non l’hai capito”, diceva Ruggeri con una frase emblematica ad un accondiscendente grossista veneto. Nei mercati Capo e Ballarò il controllo mafioso era asfissiante. Si spingeva addirittura fino alla scelta di cosa si dovesse vendere e a quale prezzo. I boss decidevano pure come dovevano essere allestite le bancarelle.

Palermo e non solo. Una volta un grossista di Bari chiuse un affare con un azienda ittica di San Vito Lo Capo. Il padroncino palermitano incaricato di consegnare la merce avvertì subito Ruggeri. La sua risposta fu perentoria: “Lasciagli tutto là sopra, come un crasto… mezzo bancaletto, te ne faccio uno e mezzo io e ricompensi”.

 


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