Chiamatelo Samuele. Amatelo Samuele. Samuele è il nome – chissà se per convenzione o in omaggio alla realtà – del bimbo di diciotto mesi ricoverato in gravi condizioni all’Ospedale dei bambini Palermo. E’ stato portato al pronto soccorso dalla madre, una giovane disoccupata di 25 anni. Allarmata perché il figlio non riusciva a respirare si è precipitata in corsia. Il lancio dell’Ansa ricostruisce la trama: “Vedendolo rantolare cianotico i medici si sono resi conto che la situazione era grave, ma la drammatica scoperta è arrivata durante la visita: sul corpicino del piccolo lividi e graffi ovunque e segni di bruciature sulle manine. E nelle urine una concentrazione di cocaina tale da far temere un’overdose. Ricoverato nel reparto di Rianimazione, Samuele lotta per sopravvivere. La madre, dalla scorsa notte, è in carcere fermata per maltrattamenti aggravati, mentre il convivente, 28 anni, tuttofare al mercato ortofrutticolo, è indagato per lesioni e cessione di cocaina, reato contestato anche alla compagna”. La madre l’ha raccontata diversamente. Una serie di incidenti avrebbe straziato il figlio. Il compagno, invece, avrebbe rivelato agli inquirenti il cuore di una oscura vicenda familiare, di violenze e bestialità, ancora da chiarire.
Chiamatelo Samuele. Chi sa amare, lo ami per corrispondenza. Chi può pregare, vegli con la preghiera. Chi vuole spendere, lo sommerga di giocattoli. Qui, alla Rianimazione dell’ospedale, non ci sono parenti a proteggerlo. Di mattina, nessuno si è fatto vivo, dicono. Di pomeriggio non sembra che ci siano volti amici tra i genitori in attesa. Visita alle sei e mezza, con un quarto d’ora di tolleranza. I papà e le mamme fissano la porta, desiderando ardentemente che si apra. Sono assetati di carezze.
E’ l’Italia migliore che sfila davanti all’ingresso di una terapia intensiva dell’infanzia. Padri e madri formano un grumo compatto di solidarietà. Infatti, guardano con sospetto il cronista in anticamera. Non è dei loro. Pochi conoscono la storia di Samuele e del suo respiro difficile. Solo un’infermiera in ascensore. Sussurra: “Mi hanno detto di questo piccolino. Possibile?”. Sì. I genitori dei bimbi in rianimazione affrontano la sfortuna da valorosi. La mattina della stessa domenica c’era un bel sole. Altri papà e altre mamme hanno passeggiato in allegria con la cucciolata al Giardino Inglese. Cappottini rossi, trecce minuscole, rincorse intorno alla fontana che regala sempre, nello scrosciare dell’acqua, l’effetto cromatico dell’arcobaleno. Di pomeriggio sono comparse le nuvole. Ma che importa. “Qui il tempo non passa mai”, dice una mamma a voce bassa. Un’altra ricorda: “Il mio piccolo mi ha chiesto di andare nella terra dei Koala quando esce di qui”. E sorride, come se l’Australia fosse un paradiso disponibile, l’azzurro del cielo accanto. Intorno, ci sono ex voto e immaginette. C’è una bella foto da giovane di Giovanni Paolo II, quando era forte. Quando era ancora bambino tra i bambini.
La porta della rianimazione finalmente si schiude. Si entra uno alla volta. Nessuno cerca Samuele. Nessuno gli regge la mano. Nessuno chiede: come sta? La balena mostruosa riuscirà a inghiottirlo o si salverà? Forse qualcuno sarà venuto prima, è una tenue speranza. Adesso, alle sette di sera, non si scorge anima viva.
Amiamolo Samuele. Ha bisogno di una passeggiata al Giardino Inglese. Ha bisogno di una favola della buona notte. Ha bisogno di una pentola piena d’oro alla fine dell’arcobaleno.