Mattarella 43 anni dopo: "Omicidio di mafia ma anche politico”

Piersanti Mattarella 44 anni dopo: “Omicidio di mafia ma anche politico”

Piersanti Mattarella
Il magistrato Antonio Balsamo intervistato dall'Adnkronos
LA RICORRENZA
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La “ricerca della verità” per l’omicidio dell’ex presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, ucciso il 6 gennaio 1980 davanti alla sua famiglia a Palermo, “è importante per l’intera collettività”. Sono le parole del giudice Antonio Balsamo, ex presidente del Tribunale di Palermo e oggi sostituto procuratore generale in Cassazione. Balsamo, intervistato dall’Adnkronos, fa una disamina sull’eredità del presidente “dalle carte in regola” ucciso da Cosa nostra. La Procura di Palermo ha riaperto l’inchiesta sull’assassinio. L’ultima posta rilanciata nel 2022 non ha prodotto risultati. I killer sono rimasti senza volto.

Il magistrato Antonio Balsamo

“L’inchiesta, fin dall’inizio, era stata vista dai più autorevoli protagonisti della vita del nostro Paese come una vicenda che meritava di essere collocata in uno scenario molto ampio – spiega Balsamo -. C’è una forte continuità tra il pensiero di Leonardo Sciascia, che notava le somiglianze impressionanti tra l’omicidio Mattarella e l’uccisione di Aldo Moro, e quello del cardinale Salvatore Pappalardo, che evidenziava l’impossibilità di attribuire il delitto alla sola matrice mafiosa, o l’idea che aveva Virginio Rognoni che parlava di una complicità operativa tra criminalità organizzata e terrorismo. Per non parlare di Pio La Torre”.

“Ricostruzione storica”

“In questo periodo si sta sviluppando un lavoro di ricostruzione storica, ci sono una serie di tasselli che emergono adesso con chiarezza – aggiunge il giudice Balsamo – È il lavoro di approfondimento che coinvolge da un lato l’omicidio Mattarella e dall’altro la stagione delle stragi del 1992. Su tutti questi episodi si stanno facendo passi avanti significativi, sono stati eliminati alcuni ostacoli che si erano frapposti per la ricerca della verità e ci sono i presupposti per un lavoro giudiziario incisivo, ma anche per una ricostruzione storica condivisa, per una memoria storica. Credo che possiamo attenderci risultati significativi anche nel prossimo futuro. Ma questo lavoro non va affidato solo al mondo della giustizia, deve essere coinvolto anche il mondo della cultura, come pure le altre istituzioni e la società; la memoria storica condivisa è un grande progresso sul piano della democrazia”.

“Sono convinto che in quella fase della storia del paese di cui Piersanti Mattarella è stato uno dei maggiori protagonisti si sono formate quelle esperienze, quelle idee, quelle capacità di dare voce a esigenze forti che sono oggi un grande punto di riferimento, soprattutto per i giovani”, dice il magistrato. Per l’omicidio sono stati condannati i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nené Geraci. Ma i nomi dei killer sono ancora un mistero. Tra i primi ad arrivare sul luogo del delitto, in via Libertà, c’era il fratello Sergio, immortalato in una storica foto di Letizia Battaglia. La rivendicazione di un gruppo neofascista portò tutti a parlare di un attentato terroristico.

La pista nera

Successivamente indagò sul caso il giudice Giovanni Falcone secondo cui quella mattina in via della Libertà a Palermo c’erano i fascisti Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, processati anche per la Strage di Bologna del 2 agosto 1980. Per la magistratura di Palermo non c’erano però elementi sufficienti per condannarli per l’omicidio di Piersanti Mattarella. Eppure a confermare la tesi di Giovanni Falcone c’erano state le confessioni di alcuni collaboratori di giustizia arrivate nel 1982 e le parole di Cristiano Fioravanti che parlò del fratello Giusva come del killer di Piersanti Mattarella. Senza dimenticare la testimonianza di maggior rilievo, quella di Irma Chiazzese, vedova dell’allora presidente della Regione siciliana, che in quella mattina del 6 gennaio 1980 disse di avere visto in faccia il killer del marito.

“Una novità c’è stata in questo anno appena concluso – dice il giudice Balsamo – è stata confermata in appello la sentenza sulla strage di Bologna. Ancora non abbiamo le motivazioni, ma la conferma della sentenza di primo grado è un dato importante. Si tratta, infatti, di una sentenza che recepisce l’impostazione che era stata sviluppata già nel 1988 da Giovanni Falcone, con una capacità di analisi estremamente ampia sulle causali dell’omicidio di Piersanti Mattarella e un preciso impegno di cogliere i collegamenti tra questa vicenda drammatica e la storia della Sicilia e dell’intero Paese”.

“Omicidio politico”

Dalla sentenza per la strage di Bologna del 1980 emerge che l’omicidio di Piersanti Mattarella “non è stato solo un omicidio di mafia ma anche un omicidio politico”, maturato in un contesto che comprendeva convergenze operative tra mafia e ‘antistato’. “Non dobbiamo mai dimenticarci di determinate espressioni utilizzate da Falcone che sono emblematiche, ne cito solo una”, dice Balsamo, ricordando le parole di Falcone: “Non mi si vorrà fare credere che alcuni gruppi politici non si siano alleati a Cosa nostra – per un’evidente convergenza di interessi – nel tentativo di condizionare la nostra democrazia, ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi”. “Questa espressione usata da Falcone rappresenta il suo modo di pensare e la visione che sta alla base delle sue indagini. In sostanza, quella che è stata definita nella sentenza di Bologna come una ‘convergenza operativa tra mafia e antistato’, adesso è un tema al centro dell’accertamento processuale in corso”.

Il delitto Moro

L’omicidio di Piersanti Mattarella, “e quello dell’onorevole Aldo Moro” per la Corte d’assise di Bologna, “furono precisi momenti attuativi” di una “strategia” in cui è compresa anche la strage del 2 agosto. Un tentativo, scrivono i giudici nella motivazione, “di influire sulla politica nazionale attraverso la strage indiscriminata per chiudere definitivamente con il passato resistenziale del nostro Paese”, come si legge nelle motivazioni di primo grado. La Corte inserisce nel contesto della sentenza il delitto compiuto a Palermo di Piersanti Mattarella, attribuito in un primo momento ai “neri” Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, dei Nar, successivamente assolti. Per questo delitto eccellente è stata condannata la cupola mafiosa, i cui boss furono ritenuti i mandanti, ma non si conoscono i nomi dei killer. La causale del delitto è “strettamente legata alla situazione politica” di quel momento, la stessa per la strage del 2 agosto.


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