Pizzo, affari e segreti | Guerrera parla, la mafia trema - Live Sicilia

Pizzo, affari e segreti | Guerrera parla, la mafia trema

Il neo pentito Silvio Guerrera

Il neo pentito conosce la storia recente della mafia di una grossa fetta della città. Prima di finire al 41 bis è stato reggente della famiglia di Tommaso Natale.

PALERMO – Lui c’era. Silvio Guerrera c’era quando la mafia che arrancava fra San Lorenzo e dintorni tentava di serrare i ranghi guardando al passato. Un passato che, secondo la Procura di Palermo, aveva un nome e un cognome: Girolamo Biondino.

Non era una vita fa, ma il giugno 2014 quando carabinieri, poliziotti e finanzieri fecero saltare il banco con il blitz Apocalisse, seguito da Apocalisse2 pochi mesi dopo. Dei mandamenti di Resuttana e San Lorenzo sappiamo molto, ma non tutto. Ecco perché il pentimento di Guerrera, reggente della famiglia di Tommaso Natale, può aiutare a fare cadere gli ultimi segreti. L’ultimo pentito offre l’immagine della nuova mafia. Non aveva chissà quale passato criminale, ma si era ritrovato capo per l’esigenza di colmare i vuoti di potere provocati dai blitz. Non ha retto al peso del 41 bis. Sappiamo che ha riempito due verbali, ma che molto ha ancora da raccontare ai pm della Direzione distrettuale antimafia palermitana.

Gli investigatori lo piazzano al vertice della Cosa nostra palermitana costruita, secondo l’accusa, attorno a Mimmo Biondino, fratello di Salvatore, il vecchio autista di Totò Riina. Biondino prima di finire di nuovo in cella faceva il pensionato. Provava a lavorare nell’ombra. Era uno all’antica. Dai picciotti pretendeva ordine, disciplina e rigore morale. Il libertinaggio a San Lorenzo non era tollerato. Le pagine dell’inchiesta Apocalisse, che portarono in carcere oltre cento persone, erano zeppe di relazioni extraconiugali, amanti, di donne e uomini a caccia di sensazioni forti. Era a personaggi chiacchierati che la mafia affidava il colpo di reni nell’area di San Lorenzo.

Guerrera partecipò agli incontri che segnarono il 2012. Quelli in cui si sarebbe parlato degli affari fra le cosche di diversi mandamenti della città. E avrebbe presenziato anche all’incontro in cui i boss parlarono dell’attentato da organizzare contro il pubblico ministero Nino Di Matteo. “Attorno alle ore 17.30-18.00, ricordo che pioveva, venne a casa mia Nino Ciresi che mi diede appuntamento, dopo mezz’ora, a Corso Tukory, dove andai – ricostruì il pentito dell’Acquasanta Vito Galatolo – accompagnato o da mio suocero o da Santo Graziano. Lì mi venne a prendere Onofrio Lipari, detto Tonino, uomo d’onore della famiglia di Palermo centro, e ci recammo al quartiere Ballarò ove salimmo in un appartamento sito all’ultimo piano. Lì c’era Alessandro D’Ambrogio, che era quello che aveva la disponibilità dell’appartamento, Masino Contino capofamiglia di Partanna Mondello, Silvio Guerrera, capofamiglia di Cardillo e successivamente ci raggiunse Girolamo Biondino. Ricordo che vi era anche Vincenzo Graziano”.

A Guerrera, però, non fu consentito di partecipare alla riunione decisiva e riservata ai soli Galatolo, D’Ambrogio, Biondino e Graziano. Un tema su cui certamente Guererra può fornire indicazioni precise è il racket delle estorsioni, non solo quelle canoniche con il versamento dei soldi a Pasqua e Natale, ma pure quelle in cui il pizzo si paga in posti di lavoro. E chi non paga subisce intimidazioni. La portata del pentimento forse più che nello spessore criminale del personaggio consiste nella vasta area territoriale di cui conosce i segreti. Da Cardillo a Pallavicino, da Tommaso Natale all’Arenella, dall’Acquasanta allo Zen, compresi i paesi della provincia fino a Terrasini.


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