La battaglia di Calogero: 'Io, vittima di amianto attendo giustizia'

La battaglia di Calogero: ‘Io, vittima di amianto attendo giustizia’

L'ex operaio si è ammalato in fabbrica ma gli è stato negato il prepensionamento

PRIOLO GARGALLO (SR) – Quella barba lunga 25 centimetri è il segno di una battaglia lunga 1.003 giorni che Calogero Vicario, ex metalmeccanico siciliano, di 61 anni, ha combattuto contro l’amianto: il minerale killer che ha respirato nelle Industrie meccaniche siciliane di Priolo Gargallo, nel Siracusano, dove ha lavorato per anni.

Calogero ora ha i bronchi pieni di amianto, un deficit respiratorio quasi del 40% e un broncodilatatore sempre a portata di mano. Assieme ad altri nove colleghi aveva ottenuto i benefici riservati a chi è stato esposto al rischio, quindi il prepensionamento che poi, però, gli è stato negato in appello per una sottigliezza burocratica. Ora la sua battaglia, e quella degli altri colleghi, è in mano ai giudici della Cassazione.

L’udienza in Cassazione

Lo scorso 28 aprile infatti – che coincideva con la Giornata mondiale delle vittime dell’amianto – si è svolta l’udienza per decidere sul ricorso di dieci operai, tra cui anche Calogero. A loro l’Inps, anni fa, per un cavillo burocratico, ha tolto la pensione di indennità che spetterebbe a chi ha lavorato in ambienti contaminati: “La prossima sentenza non sappiamo quando sarà. Non sappiamo se saranno o meno accolte le istanze dell’Inps. Dal 28 aprile ad oggi ancora non c’è stato comunicato nulla. Sono passati due mesi e aspettiamo che gli ermellini si pronuncino sulle nostre vite: spezzate, distrutte, incerte”.

L’odissea di Calogero

Tossisce Calogero mentre ricorda l’odissea che l’ha portato a protestare facendo crescere barba e capelli per combattere a mani nude contro il colosso Inps: “Sono indignato, psicologicamente provato, espropriato di un diritto, mi sento comunque un vincitore perché ho scoperchiato un vaso di pandora. Anche grazie all’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, e all’onorevole Pippo Gianni, ex sindaco di Priolo Gargallo. Nessuno prima del 2009 in Sicilia parlava di amianto. Ora ci affidiamo alla Suprema Corte, per capire se è giusto che per via di un disguido, un atto di indirizzo ministeriale mancante, dobbiamo essere trattati come delinquenti, perché è di questo che si tratta”.

La battaglia contro l’Inps

“L’Inps – spiega Vicario – ha anche chiesto indietro il denaro che ci ha concesso dopo la sentenza di primo grado”. Oltre al danno la beffa, insomma. Dopo la prima sentenza l’entusiasmo è durato poco, è svanito quando l’Inps ha preannunciato appello e il Tribunale di Catania ha chiesto agli operai di costituirsi: “Siamo stati obbligati a farlo, pronti a testimoniare che siamo nel giusto”.

Il diritto al prepensionamento era stato riconosciuto nell’ottobre 2018 dal Tribunale di Siracusa, a novembre il ricorso dell’Inps, e un mese dopo l’avvio del secondo grado con la Corte d’Appello di Catania che nel 2020 ha accolto la tesi dell’Istituto di previdenza e l’intimazione dell’Inps alla restituzione dei soldi: “È stata come un’istigazione al suicidio – si infiamma Calogero -. Non si può giocare sulla vita delle persone”.

Barba lunga: la protesta di Calogero lunga oltre mille giorni

“Negli anni abbiamo ammortizzato la spesa, ma abbiamo pagato sulla nostra pelle questa ingiustizia. E con noi le nostre famiglie”, non si dà pace Calogero. “Per tutta la durata di questa storia non ho tagliato barba e capelli in segno di protesta. Sembravo un clochard, così mi additavano per strada. Ma era l’unico modo per attirare l’attenzione sul danno patito. Ho sempre pensato di essere nel giusto e che non dovevo assolutamente mollare”.

Negli ultimi mesi, Calogero si è sottoposto a una Tac che ha, purtroppo, portato alla luce diversi noduli, ed è quindi sotto stretta sorveglianza sanitaria. Ricorda sempre che almeno 20 suoi colleghi sono venuti a mancare in questi anni a causa dell’amianto. Così come in tutte le fabbriche in cui veniva usato il minerale killer.

“L’unica mia ‘salvezza’ è ottenere i benefici da rischio amianto”

“Sono tutt’oggi in cura presso il Centro Amianto di Augusta, senza occupazione, a luglio finisce la Naspi e non ho ancora il diritto alla pensione. L’unica mia ‘salvezza’ è ottenere i benefici da rischio amianto. Cosa che era stata concessa per ben due anni a sei operai su dieci e poi è stata negata. Abbiamo combattuto a testa alta, senza chinarci e senza sottrarci a nessuna forma di timore, ora siamo obbligati a pane e acqua, viviamo con le fibre di amianto nei polmoni, con una bomba a orologeria addosso che da un momento all’altro può esplodere e può trasformarsi in qualcosa di più grave”.

La lenta contaminazione ricalca i giorni da operaio. “Quando lavoravo nell’impresa, facevo metalmeccanica, carpenteria pesante e la presenza di amianto era presente nella struttura di circa 80.000 metri quadrati, tutti coperti di onduline di pannelli in amianto: ancora oggi è presente e nessuno pensa a bonificare. Tutto questo è stato anche accertato nella relazione del CTU incaricato dal giudice di Siracusa nella quale era detto che l’amianto era pane quotidiano”.

Amianto e decessi

In quell’officina si registrano oltre 20 decessi per asbestosi e altre patologie respiratorie riconducibili all’esposizione all’amianto. “Pensiamo quando toccherà al prossimo, è una ruota che gira. Questa è la vita. Speriamo quantomeno di avere un giusto riconoscimento”.

Tra mille incognite, un dato reale: di amianto si continua a morire. E soprattutto non si guarisce. A 31 anni dalla legge 257 del 1992, che ha sancito la messa al bando, in Italia, di tutti i prodotti e i materiali contenenti amianto, c’è chi è riuscito ad ottenere giustizia. Grazie alle lotte portate avanti dai familiari delle vittime.

Amianto sulle navi della Marina, il caso di Salvatore Carollo

È il caso dell’elettricista e sommozzatore di bordo Salvatore Carollo di Palermo, morto nel 2019, a 63 anni, per un mesotelioma pleurico causato dall’amianto respirato sulle navi della Marina, ma anche nelle postazioni a terra. Lo scorso 22 giugno il Tribunale di Roma ha condannato il ministero della Difesa ad un risarcimento complessivo di 950 mila euro: 270mila euro per la vedova, Rita Randino, e 230mila euro per ciascuno dei 3 figli: Giuseppe, Angelo e Giovanni Luca.

Loro hanno impiegato quattro anni per avere giustizia. Ma sono ancora tante, troppe, le famiglie e i lavoratori, come Calogero Vicario, in attesa e in lotta contro il tempo.


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