PALERMO – Alberto Acierno è stato condannato a sei anni e sei mesi di reclusione con l’accusa di peculato. I giudici della quarta sezione penale di Palermo, presieduti da Vittorio Alcamo, hanno emesso la sentenza dopo oltre due ore di camera di consiglio. L’ex deputato nazionale e regionale è stato inoltre condannato all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e a risarcire Fondazione Federico II e Ars, rispettivamente, di 102 e 40mila euro, ovvero l’ammontare delle somme sottratte ai due enti. Infine, il Tribunale ha inviato gli atti del processo in Procura per verificare un’eventuale incriminazione di Acierno per calunnia. Si conclude così una vicenda nata nel settembre 2009 con l’arresto dell’ex parlamentare da parte della guardia di finanza.
Erano due le contestazioni a carico di Acierno e riguardavano la gestione del gruppo misto all’Ars nella XIII legislatura, in qualità di presidente, e quella della Fondazione Federico II, dove fra l’agosto 2006 e il novembre 2007 ha svolto il ruolo di direttore generale. Nel primo caso, Acierno avrebbe sottratto circa 40 mila euro su un totale di oltre 122mila, denaro entrato nel conto corrente del gruppo con un vincolo (decreto presidente Ars 16/2002) che sarebbe dovuto servire a sanare pendenze con l’erario, l’Inps e i vecchi dipendenti del gruppo parlamentare.
Il secondo caso riguarda le cosiddette “spese pazze” della Fondazione Federico II, l’ente istituito dall’Ars con una legge del 1997. Acierno viene nominato direttore generale da Gianfranco Miccichè, all’epoca presidente dell’Ars e, quindi, di diritto anche della Fondazione. In questo caso Acierno avrebbe sottratto oltre centomila euro. All’origine della vicenda ci sarebbe un grosso equivoco. Lui sostiene di essersi sempre considerato in questa veste come il direttore di un’azienda privata, ma ha finito per utilizzare l’ente come una sorta di “bancomat”, utilizzando le carte di credito a sua disposizione per le spese più variegate: dai viaggi, ai canoni Sky ed Enel, fino al casino on-line. La sua intenzione era quella di compensare la situazione contabile a ora di fare i conti. Ma a questi, in effetti, mancano oltre 100mila euro. Cifra corrispondente, a detta di Acierno, a un compenso dovutogli come custode delle opere d’arte esposte durante le celebrazioni del 60° anniversario della prima seduta dell’Ars. Ma, a riscontro di ciò, non c’è nulla né nella contabilità della Fondazione, né in quella dell’Assemblea. E Miccichè nega di aver concordato con lui alcun compenso. In questo secondo capo d’imputazione i giudici hanno riconosciuto la “continuità” del reato col precedente e questo ha portato all’aumento di sei mesi della condanna complessiva.
Uno dei nodi fondamentali del processo ha riguardato la qualificazione del reato da contestare ad Acierno: peculato o appropriazione indebita. Se, insomma, i due enti sono da assimilare al privato o al pubblico e, di conseguenza, se Acierno dovesse essere giudicato come un pubblico ufficiale. I giudici hanno attribuito al gruppo misto dell’Ars e alla Fondazione Federico II il carattere di ente di diritto pubblico, creando in questo modo un precedente importante per le nuove indagini in corso, in particolare, sulla gestione dei gruppi dell’Ars nella scorsa legislatura.