Dell'Utri, ultimo atto - Live Sicilia

Dell’Utri, ultimo atto

Ore 13. “La corte di ritira in camera di Consiglio per deliberare la sentenza”. Si chiude così il processo a Marcello Dell'Utri. “Storicamente non c'è niente – ha concluso l'avvocato Mormino - Possiamo oggi dire che stiamo trattando e stiamo processando un potere inquinato dalle interferenze, dalla penetrazione sistematica al più alto livello istituzionale della mafia al potere politico. Ma non è l'oggetto del vostro giudizio. Solo i fatti”.
La corte si ritira per la sentenza
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LA DIRETTA

Ore 13. “La corte di ritira in camera di Consiglio per deliberare la sentenza”. Si chiude così il processo a Marcello Dell’Utri. “Storicamente non c’è niente – ha concluso l’avvocato Mormino – Possiamo oggi dire che stiamo trattando e stiamo processando un potere inquinato dalle interferenze, dalla penetrazione sistematica al più alto livello istituzionale della mafia al potere politico. Ma non è l’oggetto del vostro giudizio. Solo i fatti”.

Ore 12.24. La Corte d’appello di Palermo ha letto nell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, dove si svolge il processo a Marcello Dell’Utri, una lettera appena arrivata di Carlo Marchese, detenuto in passato assieme al pentito Gaspare Spatuzza. “Non conosco i difensori di Dell’Utri – dice Marchese – Posso dire che ho parlato spesso con Spatuzza mentre ci trovavamo nel carcere di Parma. Tutto quello che ci siamo detti é stato probabilmente registrato ed è quindi riscontrabile. Mi ha confessato di essere stato protagonista della strage di via D’Amelio e mi ha parlato anche di Dell’Utri, Silvio Berlusconi (che non mi sta simpatico soprattutto da quando si vanta di aver inasprito il 41bis) e Massimo D’Alema”. Dopo la lettura della missiva, la difesa di Dell’Utri ha chiesto nuovamente l’esame di Marchese, rigettato dalla Corte che ha addotto le stesse motivazioni della precedente udienza, ribadendo la mancanza assoluta di necessità dell’audizione.

Ore 12.20. “Il più grosso pistolotto l’ha fatto il pg, peggio di così non poteva fare. Devo fare un contropistolotto – dice Sammarco – a nessun giudice è richiesto di fare la storia. Dovete applicare la legge e basta. Le conseguenze non riguardano il giudice, la prove dell’accusa è inesistente, quel poco che c’era, bagaglio di illazioni, castello di congetture che hanno fatto oggetto sentenza di primo grado è caduto in appello. Anche il castello delle congetture è miseramente franato. Se posso fare un’esortazione è quella di applicare la legge”.

Ore 12. L’avvocato Alessandro Sammarco espone le controrepliche. Attacca sulla fattispecie del concorso esterno in cui un soggetto deve essere autore “autore di specifici episodi di aiuto, non esiste una continuità. Poi lo “scandalo” legato al processo mediatico. “L’obiezione che io pongo è se è uscito un articolo e il pentito dice le stesse cose ha letto nell’articolo a cui si è ispirato è un fonte inquinata. Come un processo sia stato creato dalla stampa”. “Non ci sono incontri con Mangano – continua Sammarco – Non ci sono negli anni ’70, non ci sono nel ’93. Se ci fossero prove sull’amicizia, non c’è reato, forse un indizio”.

Ore 11.30 “Non vorrei essere nei vostri panni – conclude il pg – dovete prendere una decisione storica, non solo giudiziaria ma del nostro Paese. Siete chiamati a una decisione alla costruzione di un gradino salito il quale forse si portranno salire ulteriori scalini sulla verità che ha insanguinato il paese, o distruggerlo. Non vi invidio ma è responsabilità che attiene al nostro dovere, perché anche se sono pm mi sento di fare parte del nostro copro, al nostro modo di essere. Soprattutto quando è il momento in cui è il potere a essere giudicato, il potere che ha cercato di sottrarsi”.

Ore 11.20 Capitolo Spatuzza. “Ho sentito dire che ha fatto sette stragi – dice Gatto -, ha ammazzato persone, nessuna obiezione tecnica. Siamo tornati a quando i pentiti dovevano pentirsi interiormente per essere affidabili. L’unica obiezione, il 18 giugno 2010, era che il canale politico Graviano-Dell’Utri-Berlusconi appare antitetico a quello Mangano-Dell’Utri. Obiezione già trattata nella mia requisitoria – dice Gatto – quando ho detto che in forza di quanto emerso dall’analisi della vicenda D’Agostino (il calciatore, ndr) e quanto detto da Spatuzza, il rapporto di Dell’Utri col mandamento di Brancaccio. Rapporto che il tribunale aveva potuto verificare, deve essere rivisitata in chiave politica, essendo Dell’Utri, nelle parole di Giuseppe Graviano, quella che “ci aveva messo il paese in mano. Quindi è integrativo, non antitetico, entrambi gli esponenti mafiosi appartenevano al medesimo schieramento politico. Giuseppe Graviano aveva condiviso il progetto autonomista voluto da Bagarella che si serviva di Dell’Utri. Il rapporto Graviano-Dell’Utri, punto nodale del processo, risulta provato”.

Ore 11. Incontri Dell’Utri-Mangano a novembre 1993. Ci sono appunti a riscontro delle dichiarazioni di Cucuzza, ma quelli non sono nel ’93 ma nel ’94.  L’arringa dell’accusa prosegue: “Si tratta di un inganno, per la difesa. Come emerge dall’interrogatorio reso dal Dell’Utri al pm l’1 luglio 96, il pm dice che le annotazioni sono contenute nelle agende delll’imputato… non che si tratti di appunti della segretaria in bloc notes. L’imputato è stato preso in contropiede, fornendo le giustificazioni che ha fornito”.

In quell’interrogatorio vengono esposti i presunti rapporti fra Dell’Utri ed esponenti di Cosa nostra nonché soggetti vicini a Vito Ciancimino, trovati nelle agende sequestrate a Dell’Utri: rapporti con Mangano e Filippo Alberto Rapisarda. Il primo è indicato nel bloc notes e il pm ha dato atto che l’appunto era contenuto in un bloc notes.

Gli incontri. Il 6 maggio 1992 e il 2 novembre 1992. Nel primo si trova scritto: “Mangano Vittorio sarà a Mi x parlare problema personale”. Nel secondo: “Mangano verso il 30/11”. Quando è stato chiesto qual’era il problema personale, è stato risposto: “Non me lo ricordo, Mangano ogni tanto mi veniva a trovare. Chiedete alla mia segretaria chiarimenti”.

10.45 Gennaio ’75, Mangano era già andato via da Arcore dice la difesa, “assunto fantasioso che appoggia sul vuoto, perché sappiamo che Mangano il 6 dicembre del 1975 uscì dal carcere ed elesse domicilio ad Arcore in via villa Sammartino”.

Calderone e l’incontro al ristorante le colline del pistoiese. Nel 1976 al compleanno di Calderone, Magano dice che lavora da staliere ad Arcore. “Non si trattava di procurare un fattore ma si trattava di difendersi dai sequestri di persona assidui in quel periodo e di soddisfare i propositi ambiziosi che Bontade coltivava verso l’imprenditore brillante, Berlusconi, che ha invitato a a investire in Sicilia”.

Ore 10.40 Lincontro di Milano. “La difesa si attesta sull’inverosimiglianza del fatto che si sia potuto svolgere nel periodo del processo dei 114. L’ho scritto anche io che è inverosimile – dice Nino Gatto – Si dice ancora che nell’autunno del 1974 dove a detta di Di Carlo e l’incontro averebbe potuto svolgersi. Si è detto che Bontade, già ricoverato a Villa Serena, ci sono certificati che attestano l’imposssibilità di muoversi avendo un bustino di gesso. Le argomentazioni sono inesatte perché questa documentazione non esiste. La difesa ha prodotto esito indagini difensive, ha depositata documentazione… ho guardato le carte non c’è nulal di tutto questo…”

Ore 10.30 “All’imputato non si contenta di aver preso diversi caffé con Cinà o aver pranzato con Mangano. Se io bazzico sempre con i signori magistrati o con i signori pm e i signori avvocati – dice il pg – perché è quello il mio mondo, io quello frequento. Se io bazzico con mafiosi come Virga, i Graviano, Bontade, Teresi bisogna chiedersi quale sia il mio mondo. Ognuno risponda come crede ma con razionalità…”.

“La protezione offerta tramite Mangano, nel cosiddetto pizzo per le antenne e ai negozi Standa… Sono estorsioni non punibili in cui la mediazione di Dell’Utri, sempre che vi sia stata, era dovuta a motivi di amicizia con Berlusconi. Dell’Utri sarebbe vittima e non carnefice. Manca il dolo, si tratta di estorsioni e manca il dolo…”

Il pg Nino Gatto ha esordito dicendo: “Parliamo delle cose inutili, prove estromesse dal processo. Parliamo di quello che non c’è. Per quanto riguarda il concorso esterno, faccio rilevare che la corte di cassazione ha diverse volte ammesso la fattispecie di reato come ammissibile. Il concorso esterno in associazione mafiosi è reato permanente come la stessa associazione mafiosa. La permanenza cessa dopo la sentenza di primo grado”.

“Cose un poco più pesanti – continua – Qualche parola più pesante c’è stata. Scandalo giudiziario all’udienza 14 maggio. Il tribunale di primo grado sarebbe stato influenzato mediaticamente. Moby Dick di Santoro e il libro “Il sabato andavo ad Arcore”. I testi sono stati assunti dal primo giudice. Santoro era anche un teste della difesa. Sempre sullo scandalo giudiziario. La ristrutturazione dei mulini Virga doce, si diceva, si doveva aprire una supermercato della fininvest. La questione introdotto da Zummo Ignazio aveva l’azienda che ristrutturava il mulino. Parlava di un andirivieni di persone per i moduli per essere assunti da Fininvest”.

Ore 10 si apre l’udienza, l’avvocato Nino Mormino precisa una fonte giudiziaria citata nelle arringhe in cui si è scambiato il nome di Buriani con quello di Patrassi, dirigenti del Milan.

E’ stata scelta l’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo per celebrare l’ultima udienza del processo d’Appello a Marcello Dell’Utri, senatore del Pdl e fra i fondatori di Forza Italia. Spazio allora alla replica del pg e alla controreplica della difesa e, forse, anche alle dichiarazioni spontanee dell’imputato in un processo che non ha lesinato sorprese e colpi di scena proprio quando si avviava alla conclusione. Eventi che Livesicilia vi ha documentato con aggiornamenti in diretta. Così sarà anche per l’ultima puntata.

Ecco le tappe fondamentali del processo a Dell’Utri.
Era il 30 giugno 2006 quando ha preso le mosse il processo d’Appello a Marcello Dell’Utri. La sentenza di primo grado che condannava il senatore del Pdl per concorso esterno in associazione mafiosa a 9 anni e Gaetano Cinà (intanto deceduto) per 416 bis a 7 anni è stata emessa l’11 dicembre 2004 dalla seconda sezione penale del tribunale di Palermo presieduta da Leonardo Guarnotta, a latere Gabriella Di Marco e Giuseppe Sgadari. Per la corte Dell’Utri ha dato “un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra, alla quale è stata, tra l’altro offerta l’opportunità, sempre con la mediazione di Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici”.

Sulla traccia della sentenza di primo grado, oltre 1.700 pagine, si è svolto il processo d’Appello fino a quando non è irrotto nella scena Massimo Ciancimino. Nello stesso periodo il figlio del sindaco mafioso di Palermo ha cominciato a collaborare con i magistrati della procura di Palermo. Dai sequestri derivanti dalle perquisizioni in casa di Ciancimino jr viene, infatti, rinvenuta una lettera strappata in cui sono contenute minacce indirizzate a Silvio Berlusconi e provenienti dai vertici di Cosa nostra. I pm mostrano il foglio e Ciancimino jr scoppia a piangere: non voleva parlare di queste cose. Ma Massimo parlerà e le sue dichiarazioni, inevitabilmente, finiscono nel giudizio in corso contro Marcello Dell’Utri.

Il 17 settembre 2009 arriva la prima decisione dei giudici sul figlio dell’ex sindaco di Palermo sulla richiesta avanzata dal pg Nino Gatto prima della pausa estiva. “Contraddittorio” scrivono in un’ordinanza di un paio di pagine e non è “di utile rilievo e apprezzamento processuale” al punto da riaprire il dibattimento. Perché il processo, a settembre, era già alla sua conclusione: la requisitoria era già cominciata. Ma da lì a poco ci sarà un altro ciclone che investirà il processo che ha un nome e un cognome: Gaspare Spatuzza.

Il 23 ottobre il pg Nino Gatto chiede la sospensione della discussione del processo e la riapertura dell’istruttoria per interrogare in aula il pentito Gaspare Spatuzza e i boss di Brancaccio Giuseppe e Filippo Graviano. L’istanza è stata sollevata dopo che il pg ha ricevuto dalla procura i verbali con l’interrogatorio reso da Spatuzza il 6 ottobre.

Il 30 ottobre si riapre il processo. La testimonianza di Spatuzza è una “prova nuova” e “assolutamente necessaria” per i giudici. Per sentire il pentito viene fissata un’udienza in trasferta, per motivi di sicurezza, a Torino per il 4 dicembre seguente. Intanto, il 20 novembre, sul processo vengono riversati montagne di verbali. Due faldoni in cui solo l’indice è di due pagine.

Il 4 dicembre, a Torino, viene sentito Gaspare Spatuzza che ribadisce le accuse lanciate contro Dell’Utri contenute nei verbali resi ai pm di Palermo, Caltanissetta e Firenze. Un evento mediatico di livello internazionale.

L’11 dicembre è la volta dei capimafia Giuseppe e Filippo Graviano. Il primo risponde e non conferma le dichiarazioni di Spatuzza, il secondo si rifiuta. La corte nega all’accusa di sentire anche il killer di Brancaccio Salvatore Grigoli a riscontro delle dichiarazioni di Spatuzza. Negata anche l’audizione degli ex camorristi Antonio Cutolo e Luigi D’Andrizza proposta dalla difesa.

Il 12 febbraio 2010 la corte concede due settimane alla difesa per esprimersi sulla nuova richiesta del pg Nino Gatto di sentire Massimo Ciancimino che questi ha deposto al processo Mori e ha tirato in ballo l’imputato, Marcello Dell’Utri.

Il 5 marzo i giudici rigettano nuovamente la richiesta di sentire Massimo Ciancimino ritenendolo “non credibile” nella loro ordinanza (link).

Il 19 marzo il pg Nino Gatto riprende la sua requisitoria.

Il 16 aprile l’accusa conclude: “Condannate l’imputato a 11 anni”.

Il 30 aprile ancora un colpo di scena, questa volta della difesa, che chiede un’altra riapertura del dibattimento. Per i legali del senatore c’è una intercettazione che rivelerebbe un piano ordito contro il loro assistito ordito da mani politiche. Il 7 maggio la corte respinge la richiesta della difesa che continua la sua arringa.

Il 18 giugno terminano le arringhe difensive e la corte legge in aula un comunicato in cui i giudici si definiscono “indifferenti alle pressioni mediatiche” e sostengono di “rispondere solo di fronte alla legge e alla loro coscienza”. Questo in seguito ad alcuni attacchi della stampa contro i componenti del collegio giudicante.


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