PALERMO – Ricorda bene cosa accadde quel giorno. Gli attivisti palermitani “processarono” un altro grillino. Fabrizio Bocchino, oggi senatore di Sinistra italiana, racconta ai magistrati la sua storia di epurato dal Movimento 5 Stelle. Una storia di processi “virtuali”, “casalinghi” e in fine reali, celebrati non in rete, ma nelle aule giudiziarie.
La sua attività politica è iniziata a Palermo dove nel 2012 “ero candidato riempilista contattato da Giorgio Ciaccio (oggi deputato regionale del Movimento, autosospesosi dopo essere stato coinvolto nell’indagine sulle ‘firme false’)”. Due anni dopo, però, per Bocchino arrivò “l’espulsione decretata dal blog di Beppe Grillo”. Il senatore fu sottoposto al voto della rete tanto cara ai grillini, reo di avere criticato la chiusura di Grillo durante le consultazioni del nuovo presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Stessa sorte era toccata a Lorenzo Battista, Francesco Campanella E Luis Alberto Orellana. Il “processo” on line si concluse con l’allontanamento.
Bocchino, però, ritiene che “la vera ragione ha riguardato invece una posizione avversa assunta da Riccardo Nuti e dal suo gruppo di fedelissimi (Mannino, Lupo, Ciaccio, La Rocca) per via di un mio atteggiamento critico verso le loro scelte e modalità, a mio giudizio poco condivise”.
È lo stesso Bocchino, originario di Erice, a raccontare che “oltre a me anche Luigi Scarpello (un attivista palermitano, ndr) subì una vera e propria epurazione dal Movimento nei confronti di Luigi ci fu una sorta di processo con tanto di istruttoria in cui la Busalacchi aveva preparato delle linee d’accusa. Ero presente a quel processo, si svolse in via Sampolo, paradossalmente nei locali di proprietà dello stesso Scrpello si fece anche un verbale che conservo nella mia mailbox”. Processi in rete e processi nelle piccole sedi del Movimento. Scarpello fu “giudicato a casa propria (è suo l’ufficio di via Sampolo dove furono ricopiate le firme). I panni del “pubblico ministero”, in quell’occasione, li avrebbe vestiti Samanta Busalacchi, ex collaboratrice del gruppo parlamentare dell’Ars, che oggi rischia di finire sotto accusa in un processo “vero”. È. Infatti, uno dei quattordici indagati dell’inchiesta sulle firme false.