Processo "Scrigno", a Trapani un patto tra mafia e politica

Processo “Scrigno”, a Trapani un patto tra mafia e politica

Al centro della scena l'allora parlamentare regionale Ruggirello, condannato a 12 anni

Il racconto che è venuto fuori dalla requisitoria dei pm De Leo e Bettiol nel processo scaturito dall’operazione antimafia Scrigno, trova nella sentenza emessa oggi dal Tribunale di Trapani, presidente giudice Troja a latere Marroccoli e Cantone, per le pronunce di condanna, una precisa conferma.

A Trapani tra il 2017 e il 2018 c’è stato un “patto sinallagmatico” tra mafia e politica, da una parte le prestazioni dall’altra i corrispettivi. Il biennio 2017/2018 fu il culmine del patto che ebbe anche effetti ancora prima durante altre elezioni come quelle svolte a Campobello di Mazara, in quella tornata elettorale amministrativa che vide eletto per la prima volta a sindaco, l’attuale primo cittadini, confermato anche nelle successive elezioni, Giuseppe Castiglione.

Ancora una volta a Campobello di Mazara la mafia potente, quella che sino ai giorni nostri si scopre avere avuto un ruolo nel curare la latitanza di Matteo Messina Denaro proprio all’interno di quella che non può che essere definita una enclave mafiosa.

Al centro della scena l’allora parlamentare regionale Paolo Ruggirello, adesso condannato a 12 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Intercettato a parlare con mafiosi di spicco, come il pacecoto, suo conterraneo Carmelo Salerno, e ancora con l’allora boss campobellese, di recente deceduto, Filippo “Fifì” Sammartano, soggetto quest’ultimo a meno di un passo dal boss latitante.

Altri legami hanno incastrato Ruggirello, quella con i fratelli Virga, Pietro e Franco, e ancora con Franco Orlando, il gotha mafioso della città di Trapani. Agli atti la stretta vicinanza con il castelvetranese Lillo Giambalvo, l’ex consigliere comunale intercettato a parlare più che bene dei mafiosi Messina Denaro, nipote di un boss conclamato, Vincenzo La Cascia, campiere nei terreni della famiglia D’Alì di Trapani.

E poi i contatti con il vitese Salvatore Crimi, figlio di un vecchio potente mafioso trapanese, Leonardo Crimi. Cognomi pesanti, difficile poter sostenere che non sapeva che la mafia non era lontano da lui.
In un crescendo di intrecci e collusioni, si è arrivati con la sentenza odierna a quello che la Cassazione ha definito “il paradosso della democrazia”, ossia “il metodo di scelta dei rappresentanti della cosa pubblica che diventa lo strumento di rafforzamento della sopraffazione e della tirannia dei poteri mafiosi”.

La mafia che mette in vendita i suoi voti, ma non sono stati i mafiosi a offrirsi ai politici, ma sono stati i politici ad andare a cercarli. Uno scenario che non appartiene al secolo scorso, ma è del secolo corrente, al limite dell’attualità. In una città dove per anni si è sostenuto che la mafia non esiste e che nei tempi correnti si sostiene che sia stata sconfitta, la fotografia che è venuta fuori dal processo Scrigno è tutt’altra: la mafia esiste, mantiene il controllo del territorio, i mafiosi non sono persone sconosciute e senza volto, ma alcuni politici hanno dimostrato di conoscere nomi e cognomi, e luoghi dove andarli a trovare, come ha bene raccontato il rapporto informativo dei Carabinieri del Reparto Operativo Provinciale di Trapani.


Relazioni pesanti, con i capi della mafia trapanese, i Virga ed Orlando, la loro longa manus, il pacecoto Carmelo Salerno, fino ad arrivare a Marsala e Campobello di Mazara, sin dentro i luoghi della latitanza di Matteo Messina Denaro. Non solo politica e mafia, ma anche politica, mafia e massoneria, corretta nel processo Scrigno utilizzare il binomio massomafia, come espressione del potere più spregiudicato esistente in questo territorio.

“E’ salito il nostro sindaco”, è stato sentito dire Ruggirello parlando al telefono col conclamato mafioso di Paceco Carmelo Salerno. E’ anche a lui che Ruggirello si rivolse per definire candidature, accordi e alleanze. Minuziosamente descritti i rapporti con il castelvetranese Lillo Giambalvo (condannato frattanto per estorsione), “Ruggirello lo ha fatto diventare consigliere comunale”, e poi con il campobellese Filippo Sammartano.

“Quando Giambalvo divenne consigliere comunale fece due telefonate, uno allo zio, Vincenzo La Cascia, l’altra al partannese Mimmo Scimonelli, il faccendiere di Matteo Messina Denaro. Ruggirello – secondo l’accusa – si è mostrato perfettamente a conoscenza delle regole, delle dinamiche e delle competenze territoriali di Cosa nostra…pronto a fare mercimonio della propria attività politica, utilizzando somme pubbliche per distribuire incarichi e consulenze”.


Ruggirello ebbe anche ad incontrarsi con il mafioso Vincenzo La Cascia, e come si è sentito dire al castelvetranese Lillo Giambalvo in quella occasione ci furono “abbracci e baci”. <<…perché l’altro giorno mio zio (La Cascia Vincenzo ndr) ..con Mariella Tripoli, c’era Paolo Ruggirello si è fermato si sono abbracciati si sono baciati (con La Cascia Vincenzo ndr)>>.

Ruggirello fu monitorato in occasione di incontri nel bar MacOne di Filippo Sammartano e proprio Giambalvo lo invitò, causa le indagini in corso, a non frequentare molto quel bar per i suoi incontri. A risultato elettorale acquisito, dopo la elezione a consigliere di alcuni suoi candidati, fu intercettata una conversazione tra Paolo Ruggirello e il mafioso di Paceco, suo amico, Carmelo Salerno. Ruggirello si trovava proprio nel bar di Filippo Sammartano a festeggiare l’elezione del sindaco, Giuseppe Castiglione.

Ci sono in proposito le parole di apprezzamento di Filippo Sammartano per Paolo Ruggirello: il più serio politico che abbiamo nella provincia di Trapani …(…)… il Santo della provincia di Trapani… a me interessa di portare l’”Articolo 4” (il gruppo politico creato da Ruggirello all’Ars dopo aver abbandonato il centrodestra e prossimo ad aderire al Pd ndr) stop! si ma a me interessa di portare l’Articolo 4, ti ho detto a me interessa di portare l’Articolo 4 perché io ti ho detto… mi interessa perché è legato a persone che conosco vicino a Noi per stare “amici” stop!..”.

In altra intercettazioni poi è ancora Giambalvo a spiegare, parlando con Gaspare Lo Grasso, l’apporto di Cosa nostra nella raccolta dei voti, a Campobello di Mazara come sarebbe accaduto a Castelvetrano: <<…tu che pensi che i 195 voti miei vengono dal cielo? Non viene di portafoglio, vengono da amici! Tu non lo hai capito come non lo ha capito nessuno, vengono da amici, da amici che io ho rispettato e che ho voluto bene hai capito? Perché tu non devi pensare che è così semplice prendere 195 voti …>>. <<…la mafia con Felice fù! E dove si mettono loro, la massoneria, dove… se i voti della massoneria vanno ad un Sindaco candidato il Sindaco candidato viene eletto! Mettitelo nel cervello tu, te lo devi mettere nel cervello!…>>. Ed è ancora Giambalvo ad avvertire Ruggirello di stare attento ai contatti con Sammartano, “lui ha avuto una imputazione tinta” ma ciò non lo indusse ad allentare la relazione.

Ruggirello poi venne informato da Maria Tripoli della morte prematura di Fifì Sammartano, ma venne consigliato dalla stessa a non farsi vedere, presupponendo che la casa sarebbe stata monitorata dalle forze dell’ordine.

Tra le cose emerse quella che avrebbe tentato di affidare al figlio di Salerno l’incarico di addetto alla security all’Assemblea Regionale Siciliana. Secondo l’accusa Ruggirello è “uomo di mafia”, “il suo ruolo è quello di uomo inserito…nel 2001 Mimmetto Coppola parla col fratello Filippo in carcere per cercare voti a suo favore , pochi anni dopo ed emergono i contatti col maresciallo Buracci (un poliziotto che per anni ha lavorato dentro uno degli uffici più delicati della prefettura, il cosiddetto ufficio cifra dove transitano i messaggi riservati dal Viminale): Buracci, mai processato perchè nel frattempo deceduto, si divideva tra Prefettura e i boss di Campobello di Mazara, occupandosi anche delle strategie mafiose, tentando di mantenere la pace tra i gruppi che si contrapponevano, quello di Nunzio Spezia e quello di Nardo Bonafede, il papà della maestra Laura e il nonno di Martina Gentile, i cui nomi oggi riempiono una parte del palcoscenico dove la Procura antimafia di Palermo e i Carabinieri vanno distendendo la rete di relazioni a servizio dell’allora latitante Matteo Messina Denaro.


L’esito odierno del processo Scrigno è uno dei risultati di un’attività investigativa che nel tempo i carabinieri riuscirono a condurre in diversi centri della provincia di Trapani, inquadrando una rete di rapporti e relazioni inquietante. Cosa nostra non ha mai deposto le armi, le scarcerazioni nel tempo hanno visto la riorganizzazione dei mandamenti e delle famiglie, con il bisturi i mafiosi sono tornati a incidere il territorio, a inquinare la pubblica amministrazione puntato ai palazzi più importanti, sino alle aule parlamentari. Una politica parolaia sulla legalità, mentre intanto nell’oscuro di alcune stanze si facevano inciuci e si stringevano accordi…del malaffare.


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