Pubbliservizi, imputazione coatta per la commissaria Perazzoli - Live Sicilia

Pubbliservizi, imputazione coatta per la commissaria Perazzoli

La procura aveva chiesto l'archiviazione, ma la gip non era d'accordo.
PRESUNTO MOBBING
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CATANIA – La procura aveva proposto l’archiviazione del caso, perché più adatto a una sede civile che a una penale. Ma la giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catania non era d’accordo, e ha stabilito l’imputazione coatta per Maria Virginia Perazzoli, commissaria straordinaria della Pubbliservizi, la società partecipata della Città metropolitana etnea. L’accusa è di stalking occupazionale.

La storia

Comincia tutto con una denuncia datata settembre 2020. L’avvocata Chiara Rapisarda, responsabile dell’ufficio legale di Pubbliservizi, mette nero su bianco di essere, secondo lei, vittima di un “disegno persecutorio nei suoi confronti”, dovuto a un fatto molto semplice: nel 2018 Rapisarda avrebbe denunciato “gravi irregolarità nella gestione della società, attualmente al vaglio dell’Autorità giudiziaria”. L’avvocata, quindi, avrebbe subito da parte della commissaria, insediatasi a dicembre 2018, comportamenti tesi a mortificarla, “isolarla e screditarla all’interno dell’ambiente lavorativo”.

Chiara Rapisarda sarebbe stata prima demansionata e ridotta a semplice “segretaria” e poi sarebbe stata estromessa “da qualsivoglia mansione”. Le sarebbe poi stato chiesto di produrre dei report giornalieri sulla sua attività lavorativa: richieste ad personam, arrivate dopo l'”effettiva esautorazione” di Rapisarda da qualsiasi attività. A dicembre 2019 sarebbe arrivata la prima contestazione disciplinare per via del presunto mancato rispetto dell’orario di lavoro, trasformatasi poi in una sanzione.

Nella primavera del 2020, durante il primo lockdown per via della pandemia da Covid-19, l’avvocata sarebbe stata messa in cassa integrazione per due mesi, “a differenza degli altri colleghi che erano stati posti in cassa integrazione a rotazione e per periodi assai più brevi (non eccedenti una settimana)”. Terminati questi due mesi, le sarebbe poi stata contestata l'”assenza arbitraria e ingiustificata” dal posto di lavoro, nonostante lei fosse in smartworking.

La denuncia

Questi fatti, messi in fila, avrebbero causato a Chiara Rapisarda, secondo quanto riportato dal gip nell’imputazione coatta nei confronti della commissaria, “forti disagi psicologici e gravi stati di ansia“. L’avvocata, quindi, scrive una denuncia e la procura di Catania fa partire le indagini. Il pubblico ministero, però, dopo avere studiato il caso non ha dubbi: il comportamento della commissaria Perazzoli sarebbe sì “prevaricatorio e discriminatorio”, ma non si tratterebbe di stalking occupazionale. Bensì di più banale “mobbing verticale“, illecito sì, ma di natura civilistica.

La procura chiede quindi l’archiviazione del fascicolo. Rapisarda si oppone e Perazzoli si difende: nessun “disegno prevaricatorio/vessatorio“, dice la commissaria straordinaria. Che poi va oltre: già nel 2018, quando Maria Virginia Perazzoli non era ancora commissaria, l’avvocata Rapisarda si era assentata dal lavoro per motivi di salute. E dunque il suo malessere non avrebbe avuto nulla a che fare con la situazione in ufficio.

La decisione della gip

Se per la procura il mobbing va gestito in sede civile, non è dello stesso avviso la giudice per le indagini preliminari. Esiste, spiega la gip, una “querelle interpretativa” sul rilievo penale del mobbing che la Cassazione avrebbe risolto sostenendo che non ci sia, “in astratto, nessuna obiezione” a riportare le vessazioni sul posto di lavoro nell’alveo del reato di stalking occupazionale. Questo purché tali vessazioni “siano reiterate e siano idonee a cagionare un perdurante stato di ansia o di paura nel lavoratore”. Che sarebbe quanto accaduto nel caso dell’avvocata Rapisarda.

La difesa dei sindacati

A seguito dell’imputazione coatta, i sindacati Filcam Cgil, Fisascat Cisl e UilTrasporti di Catania si sono spinti in una difesa della commissaria. Definendo “improbabile” che quest’ultima “abbia posto in essere atti persecutori nei confronti di alcuno dei dipendenti”. E, nel rinnovarle la fiducia, “anche attraverso la solidarietà per gli attacchi ricevuti“, le sigle sindacali si dicono fiduciose “nel lavoro della magistratura” e nella conclusione della vicenda “durante il giudizio di primo grado“.

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