Quando a "S" disse: "Tornerò|a fare il parroco del Borgo" - Live Sicilia

Quando a “S” disse: “Tornerò|a fare il parroco del Borgo”

Dopo l'inizio del processo, padre Turturro raccontò a Roberto Puglisi per "S" i suoi sentimenti all'indomani delle accuse. Ecco quell'intervista, pubblicata sul numero di luglio 2008.
L'intervista a "S"
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4 min di lettura

C’è un ex cane da combattimento davanti al cancello del Santuario di Nostra Signora di Lourdes in piazza Ponticello. Rosicchia ossa di pollo arroventate sull’asfalto. È un vecchio campione di chissà quanti ring: lo rivela la mascella da lottatore in pensione. All’inizio pensi che potrebbe essere una buona metafora, l’immagine giusta per raccontare la storia dell’uomo che apre la porta della chiesa e trova la forza di sorridere. Poche parole bastano per disperdere ogni velleitaria similitudine. Padre Paolo Turturro è tutto, fuorché uno sconfitto. Gli occhi non hanno perso l’antico bagliore. Il sorriso sembra la decalcomania di un’indistruttibile tranquillità d’animo. Solo chi lo conosce bene avverte una trafittura invisibile. Una spina che buca il cuore, ma non ha avuto la forza di annientarlo.

Il sacerdote che illuminava la riscossa antimafia di Borgo Vecchio è stato squassato dall‘ombra di un’accusa infamante: pedofilia. Perfino adesso, don Turturro è una figura che divide, senza mediazioni possibili. C’è chi giura sulla sua innocenza e chi lo desidera colpevole, chi è certo di avere scoperto la crepa nel tessuto di una pastorale coraggiosa e votata al sociale. “In questi mesi la gente mi è stata vicina, molto. In pochi mi hanno voltato le spalle”, sussurra lui.

C’è un dibattimento in corso che dovrà scalare la collina impervia della prima verità processuale. Di quelle carte e di quelle schermaglie d’aula da palazzo di giustizia, don Turturro non vuole parlare. Ed è comprensibile. Parlerà, dopo avere chiuso il cancello alle sue spalle, dei sentimenti, della sua fede e delle spine che tiene forse nascoste, ma che fanno capolino nelle pause della conversazione.

Avvertenze prima dell’uso: questa intervista non ha la pretesa di sostenere le tesi della Procura o quelle di un imputato eccellente. È solo la cronaca di una solitudine, stranamente intrecciata con la speranza.

Padre Paolo Turturro, come sta?

“Bene. Il Signore mi ha dato la croce sulle spalle, però mi ha anche fornito di tenacia e perseveranza. Affronto questo momento consapevole della mia innocenza, della mia identità, nella piena chiarezza con gli altri e con me stesso. E chi cammina nella chiarezza non può sentirsi abbandonato”.

Nemmeno dalla gente?

“Nemmeno dalla gente che non mi ha mai tradito e ha continuato a seguirmi con affetto. Ho ricevuto attestati di stima dalla poetessa Merini, da monsignor Ravasi. Lo ripeto: come posso disperarmi con tanto amore intorno a me?”.

Lei era un punto di riferimento in città e un simbolo del Borgo.

“Non sono mica l’unico. Ci sono centinaia di sacerdoti”.

Con l’allontanamento di don Turturro – sostiene qualcuno – è tramontata la speranza del Borgo Vecchio.

“No, questo mi sento di negarlo nel modo più assoluto e fermo. Le attività sociali che avevo avviato vanno avanti tranquillamente. Le mamme e le famiglie si sono responsabilizzate. Io sono ogni giorno lì. E trovo che niente sia andato perduto. La nostra semina era buona”.

Tornerebbe al Borgo?

“Ho già detto che ci vado sempre”.

Come parroco, a Santa Lucia.

“Sì, perché no? Non mi sono mai dimesso dalla carica di parroco. Ho solo rimesso il mio mandato. Sarà la Chiesa a decidere, a bocce ferme. Da parte mia non c’è nessun impedimento. Anzi, sarei contento di tornare. E poi…”.

Poi?

“Sono sereno. Ho perdonato quelli che mi hanno procurato del male e che sono stati coinvolti in un gioco più grande. Dico solo questo sulla nota vicenda”.

Quando racconterà la sua verità?

“Ho scritto un memoriale. L’ho intitolato ‘Fogli sepolti’ e l’ho affidato a una persona cara. Dopo la mia morte sarà bruciato”.

Perché?

“È meglio così”.

Scusi, che valore avrebbe scrivere qualcosa che racconta, svela, spiega – almeno dal suo punto di vista – e condannarlo alla distruzione? Nessuno deve sapere?

“Siamo e saremo in pochi a sapere. Quelli giusti”.

Come riempie i giorni?

“Sono un sacerdote. Scrivo poesie, pubblico libri e seguo la mia pastorale”.

Perché – dalla visuale di chi si è sempre proclamato estraneo alle accuse – è successo quello che è successo?

“Ho toccato certi fili scoperti. Se uno si va a rileggere alcuni interventi del passato, può trovare la risposta. Chi ha agito nel buio sapeva esattamente dove andare a parare”.

Chi ha agito nel buio?

“Qualcuno che ha il potere di fare sporcare le mani agli altri, senza rivelarsi in prima persona, restando dietro le quinte. Io ho avuto la forza di resistere, senza combattere”.

In che senso?

“Ho scelto il silenzio”.

Perché?

“Era l’unico modo per non sporcarmi di fango. Questo dolore non è stato vano. Mi ha innalzato nello spirito. Mi ha fatto capire che vivevo in una valle di lacrime e che dovevo liberarmi dalle zavorre, per volare davvero”.

Quasi quasi, paradossalmente, c’è di che ringraziare i suoi accusatori…

“Io li ho perdonati, anche se non è stato semplice. Con tutto il mio cuore”.


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