Quando uno ha Daverio torto... - Live Sicilia

Quando uno ha Daverio torto…

Il caso e gli insulti
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(RP) A Palermo ragioniamo con l’anello al naso e al cuore. Se certe cose innocue le fa un concittadino (uno dei poveretti che osarono, per esempio,  festeggiare la vittoria dell’Inter pubblicamente) certi difensori dell’identità popolare si ritengono autorizzati a menare a destra e a sinistra, come effettivamente capitò allora. Se un signore col cravattino giallo, sedicente critico d’arte e con una pronuncia da formaggio francese, ci tratta da indigeni colonizzati,  semplicemente, “ce la chiantiamo”. O almeno, alcuni (troppi) “se la chiantano”.
 Nel primo caso si lava con le percosse e con la vigliaccheria di massa un’offesa che non c’è. Nel secondo per fortuna le botte non ci sono nemmeno, però serpeggia una certa selvaggia rassegnazione da Zì Buana. Egli è Daverio il critico straniero, zitti e mosca. Il farfallino giallo incute timore. Se ne deduce uno strano e strabico culto dell’appartenenza da parte dei palermitani, come abbiamo letto in diversi commenti. Ma non è questo il punto.

Il punto (interrogativo)  è il seguente: quella sibilante paroletta “Cicciona” soffiata dal dottor Filippo – con un certo compiaciuto ghigno da ippopotamo della pubblicità dei pannolini, ricordate? – rappresenta un’inusitata porcaggine a cui opporre logica, collettiva, educata ma ferma e motivata reazione, o è una reprimenda sociologica d’alto profilo che il mounsieur si è compiaciuto di calare dall’ara della sua cultura, spezzando il pane dell’insulto plebeo, per noi che altrimenti non ci avremmo capito niente? Insomma, la “Cicciona” come un’opera d’arte lessicale.

Ci sarebbe un aneddoto personale (scusate) per rispondere. In una lontana mattina il sottoscritto si trovò accanto a un professore di italiano e latino del liceo classico, nel rosso furibondo di un corteo studentesco. Dieci bei tipi scorsero il temuto professore – che mai avrebbero osato apostrofare in classe – e cominciarono a insultarlo. Fecero di più, si strinsero in falange per non permettere al docente il cammino. Egli – il prof – strinse la borsa con i libri come una Durlindana e noncurante  si avvicinò a passo di carica alla falange. Mazzate ci furono? No, quelli intimoriti dalla reazione inaspettata, si scostarono e permisero il transito con qualche parola di scusa. Il prof sorrise e sussurrò: “Ragazzi miei, pensate a studiare”.

Dall’aneddoto personale si può magari dedurre a piacimento che la cultura è sempre un elemento di superiorità, da esibire, anzi da condividere con profondità di sguardo e sobrietà. La cultura può essere usata come una buona e capace Durlindana contro un avversario capoccione.  Funziona se la stoccata contiene un insegnamento che l’interlocutore può comprendere e meditare. Il resto è osteria, falsa identità da culturame, spocchia senza base né ritegno, materiale truffaldo e pecoreccio. “Cicciona” sarà pure un “simpatico” assalto verbale, un divertimento dei nuovi barbari al potere. Secondo noi, non autorizza il latore dell’esclamazione a proseguire, insegnando ad alcuno alcunchè, per mancanza di giusta forma e adeguati contenuti. Daverio bocciato, anche se il sindaco l’ha difeso. Diego, ne azzeccherai una prima o poi, anche per sbaglio?

Forse, in quel giorno di moti studenteschi, il dottor Daverio avrebbe apostrofato la falange ribelle al grido di: “Ciccioni, vi prendo a calci in culo”. Avrebbe clamorosamente sbagliato valutazione. Erano tutti magrissimi. E menavano da perfetti stalinisti.


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