PALERMO – Doveva essere uno “tsunami”. Si è rivelato un venticello fresco, una brezza di propaganda, e nulla più. Era arrivato col piglio del “rottamatore”, Rosario Crocetta e andrà via con quello del “copione”. Di chi, insomma, non essendo in grado di portare a termine una riforma che si possa definire tale, si vede costretto a sbirciare sul quaderno del governo nazionale, pur di riformare qualcosa.
Eppure doveva abbattersi un cataclisma sulla Regione, con l’avvento del presidente gelese che questa settimana festeggerà il quarto compleanno a Palazzo d’Orleans: quattro anni di nulla, sul piano delle riforme. E dire che quel sisma di legalità e lotta agli sprechi avrebbe dovuto innanzitutto buttare giù i simboli della Regione spendacciona: le società partecipate. Dovevano restarne un paio, a sentire Crocetta. Poi quelle corrispondenti alle dita di una mano. Poi di due mani. Alla fine, a parte la chiusura di enti ormai esangui, senza dipendenti o quasi, si è visto poco o nulla. Di sicuro non si è mai vista la famosa “riforma delle società partecipate” annunciata tre o quattro volte.
Ma alla fine, la riforma si farà. Era prevista nella manovra di “assestamento” discussa in giunta. Ma è stata stralciata: finirà nella manovra finanziaria vera e propria. Cosa contiene questa riforma? Semplice: il recepimento del decreto legislativo nazionale sulle società partecipate. Insomma, il governo regionale alla fine “copierà” la norma di Renzi. Con qualche ombra. Visto che quel decreto, ad esempio, fissa per gli amministratori unici delle aziende, un tetto agli stipendi assai più alto di quello esistente oggi in Sicilia: 240 mila euro* anche se la stessa norma prevede l’adeguamento a eventuali norme e regolamenti che fissano limiti più bassi.
Di sicuro c’è che alla fine, il governo Crocetta scriverà sotto dettatura di Roma. E per propria espressa volontà. La (s)vendita dell’autonomia siciliana, infatti, è stata formalizzata qualche mese fa nell’accordo flop con cui il governatore ha ottenuto da Palazzo Chigi la somma utile a chiudere il bilancio, la promessa di nuove entrate che spettavano già alla Sicilia, in cambio di sacrifici e cessioni di pezzi della propria autonomia. Crocetta, insomma, ha firmato un accordo col quale gli è stato imposto di recepire non solo la riforma nazionale sulle partecipate, ma anche, ad esempio, quella sugli enti regionali in liqudiazione e persino la cosiddetta “riforma Madia” contro i furbetti del cartellino. Uno smacco per quel governatore che si era presentato come il nuovo castigatore delle cattive abitudini dei dipendenti pubblici, e che, a parte qualche fallita rotazione di personale che proprio due giorni fa si è tramutata in una condanna della Regione a risarcire i dirigenti, non ha concluso una riforma del pubblico impiego che si possa definire tale. E così, anche in quel caso ha dovuto copiare da Roma.
Così come ha fatto nel caso più “clamoroso”: a oltre tre anni dall’annuncio dell’abolizione delle Province, Crocetta ha dovuto cedere alla clausola che prevede, in Sicilia, il recepimento “totale” della riforma Delrio. Una resa giunta dopo l’alternarsi di quatto, cinque disegni di legge diversi, altrettanti assessori agli Enti locali, lunghe discussioni all’Ars, ancora più lunghi commissariamenti, danni finanziari agli enti, strade disastrate e scuole in difficoltà. Alla fine, Crocetta recepirà la Delrio. Se doveva arrendersi, poteva quantomeno farlo prima.
Ma questi quattro anni sono un Rosario di fallimenti e di “copiature”. La tanto sbandierata riforma della Formazione professionale prende polvere da tre anni in Commissione. La rete ospedaliera che avrebbe dovuto cambiare l’identikit della Sanità siciliana e aprire ai nuovi concorsi è stata travolta dalle polemiche e relegata al capitolo delle “buone intenzioni”. La stessa riforma del sistema dei rifiuti – che tra l’altro langue all’Ars – è stata praticamente dettata da Roma che ha pesantemente bocciato la prima riforma voluta da governo e parlamento. Stesso discorso sulla legge sugli appalti: si recepirà quella nazionale. Tutto da ricopiare “in bella”. Come se non fosse, la Sicilia, una Regione autonoma. Di una Autonomia che non esiste, nei fatti. È stata ceduta, come se fosse la ricompensa al compagno di banco che ti fa copiare il compito. Dopo quattro anni di bocciature.
* rispetto alla versione precedente abbiamo aggiunto il passaggio che prevede, per la norma in esame, la possibilità di far salvi tetti già esistenti alla Regione.