Quei colpi di kalashnikov nella Catania che sembra Gomorra - Live Sicilia

Quei colpi di kalashnikov nella Catania che sembra Gomorra

Quartieri dimenticati, istituzioni assenti: l'analisi del sociologo sul degrado della città.

CATANIA – La realtà alcune volte supera la fiction. Un video registrato dai carabinieri durante le indagini poi culminate nel maxi blitz che ha ‘chiuso’ dodici piazze di spaccio tra Trappeto sud e San Giovanni Galermo a Catania è un pugno allo stomaco. Nel “corto” in bianco e nero si vedono alcuni indagati – per gli investigatori collegati a Cosa Nostra catanese – sparare in aria colpi di kalashnikov e rivoltella la notte di San Silvestro del 2018. Tutto avviene davanti agli occhi innocenti di un bambino mentre a pochi metri la vendita di droga non si ferma nemmeno a capodanno. Non è solo la fotografia inquietante del volto più oscuro della malavita, ma è anche la drammatica immagine di un fallimento. Del fallimento delle istituzioni. Di tutte le istituzioni. 

Carlo Colloca insegna Sociologia urbana presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Catania, dove ricopre anche l’incarico di Presidente del CdLM in Politiche e Servizi Sociali. 

“Quello che abbiamo appreso nelle ultime ore e che ha interessato il territorio di San Giovanni Galermo indica come di fatto in questi quartieri si siano creati dei vuoti lasciati dalle istituzioni”, analizza Carlo Colloca docente di Sociologia urbana del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Catania. “Quando parlo delle istituzioni penso non soltanto al mondo della politica, penso al ruolo che hanno le istituzioni culturali e anche a coloro che hanno il ruolo di progettare spazi”. 

Una normalità parallela

Vuoti che hanno permesso ai gruppi criminali di radicarsi. “Nel tempo questi vuoti – argomenta Colloca – sono stati riempiti da comportamenti devianti e poi la devianza ha portato alla criminalità, micro e macro”. Il sociologo scatta un’immagine nitida: “Mi passi il termine: laddove la legalità organizzata non riesce a fornire servizi purtroppo in molte realtà italiane è la criminalità organizzata a offrirli. Questo evidentemente distorce anche la visione dei giovani e dei giovanissimi”. 

Quei colpi di kalashnikov, lo spaccio per strada, il delinquere diventa una sorta di normalità parallela. “Peraltro le periferie sono abitate da un’importante fetta di appartenenti all’infanzia e all’adolescenza. Addirittura – afferma Carlo Colloca – questa sorta di pieno che è rappresentato dalla criminalità organizzata rischia di diventare qualcosa a cui rifarsi”. 

Gomorra in carne e ossa

Il rischio che un bimbo trasformi in punti di riferimento personaggi devianti è dietro l’angolo. “Basti pensare alle tanti critiche che sono emerse dopo la fiction su Gomorra. Il rischio – spiega il sociologo – è che si mitizzassero figure criminali. Quello che abbiamo visto a Catania nelle ultime ore con adulti che provavano armi davanti agli occhi di figli o comunque bambini sicuramente rischia di andare in questa direzione”.

Via Capo Passero, quella notte di Capodanno, si è trasformata in una delle scene della serie cult Gomorra. Ma quali sono le cause che hanno portato all’emulazione? Colloca intanto chiarisce un punto: “Non diamo responsabilità ai ragazzi”. Il nodo della questione è la mancanza di ascolto e analisi del territorio. Colate di cemento, realizzazione di palazzi da riempiere, senza pensare al “cuore” di chi vi avrebbe “costruito la sua vita, la sua famiglia, il suo mondo”.  

“Serve una presenza”

Carlo Colloca dal 2014 collabora con il Team G124 promosso dal senatore architetto Renzo Piano per il progetto “sulle periferie e la città che sarà”. “L’esperienza che ho fatto dal 2014 con questo team voluto, coordinato e finanziato da Renzo Piano all’indomani della sua nomina a senatore a vita mi ha insegnato – spiega il sociologo –  quanto è importante prendersi cura: una sorta di presa in carico dei bisogni dei residenti”. E non è sufficiente la divisa di Carabinieri, Polizia e Finanza. “Serve una presenza che non è solo quella delle forze dell’ordine, che già tanto fanno, ma significa – afferma Colloca – dare all’infanzia una qualità nei servizi scolastici, nei servizi bibliotecari, dare la possibilità di dare valore all’apprendimento e al percorso formativo”. 

Colloca inoltre – partendo sempre dall’esperienza con la squadra di Renzo Piano – pone l’accento sull’importanza dello spazio urbano come luogo in cui “identificarsi” e su cui inoltrare il “senso di appartenenza”. “In questi quartieri molte volte, tra le tante altre cose, mancano luoghi in cui potersi identificare. Identificare in qualcosa di bello, di gradevole, di apprezzabile.  E se non lo hai a casa e non lo trovi neanche a scuola – nonostante i grandi sforzi che le scuole di periferie (e di confine) fanno – il rischio è che poi le povertà minorili, l’assenza di servizi di cura e di protezione espongano i minori a forme di sfruttamento, ma anche a forme di emulazione”. 

Il ruolo della politica

Intere zone della città lasciate sole e che diventano i palcoscenici delle passerelle elettorali. “La politica, ma quella con la P maiuscola, dovrebbe in qualche modo riappropriarsi di questi spazi. Noi siamo abituati, e non è solo il caso di Catania, alla politica dei pacchi di pasta durante le campagne elettorali. Poi conclusa la ricerca del consenso – analizza Colloca – questa presenza diventa latitante e fragile e si generano quei vuoti che vengono riempiti malamente da questi attori della criminalità organizzata”. 

La causa delle piaghe va cercata nel passato. “Ma c’è un problema a monte – spiega il docente universitario –  ed è quello di aver progettato spazi senza ascoltare a sufficienza le aspettative, le paure, i sogni e i bisogni della gente. La qualità della vita delle persone in armonia con l’altro non è stata negli anni 70 in cima alle priorità di chi progettava questi quartieri”. È mancata la politica di  “immaginare” questi spazi come luoghi “che potessero dare un senso di appartenenza e di radicamento. E se non te lo dà il luogo, rischi che il senso di appartenenza te lo dia il clan, te lo dia il violento di turno”. 

Ripensare i quartieri

Riprogettare, quindi. Riprogettare coinvolgendo chi vive il quartiere. Colloca però manda due allert. Sì alla progettazione partecipativa ma “non possiamo pensare che il cittadino si sostituisca alle figure professionali e non possiamo nemmeno cadere nella retorica. Molte volte i progetti partecipativi sono sponsorizzati dalla politica in un momento di ricerca di consensi. Si dà la sensazione al cittadino di essere coinvolto e partecipe ma in realtà a quelle aspettative non si risponde. Serve un ascolto sincero e anche capace di misurarsi con le conflittualità che in questi quartieri ci sono”. E aggiunge: “Quando io parlo di legalità organizzata mi piacerebbe pensare che ci sia il dialogo di diverse discipline: dalla sociologia all’urbanistica”. 

Covid e “disconnessione” sociale

L’emergenza Covid purtroppo con la crisi economica e sociale, con la chiusura delle scuole e la didattica a distanza, potrebbe incrementare in questi quartieri “la disconnessione dal resto della città”. L’auspicio è che nella pianificazione dell’utilizzazione dei fondi europei per la pandemia si pensi anche “ai territori e alle popolazioni fragili”. “Sicuramente questa catastrofe sanitaria non fa altro che esasperare questa fragilità”, afferma il docente universitario. “Il vuoto, di cui parlavo all’inizio, scava sempre di più”. 

Colloca però vuole ricordare, anche a chi fa informazione, che non bisogna mettere etichette quando si parla di periferie. “Questi quartieri noi li dipingiamo come un buco nero, ma in realtà ci sono tantissimi cittadini e cittadine onesti. Tutte le volte che le mamme mandano i loro figli per strada a giocare spererebbero che questo gioco avvenga in uno spazio più dignitoso possibile e non vi fosse a rischio di vedere qualcuno che imbraccia un kalashnikov”. 


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