Quell'intreccio infetto | tra imprenditori e boss - Live Sicilia

Quell’intreccio infetto | tra imprenditori e boss

Gli arresti di Palermo
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Certo della morte ormai imminente, per tutelare la figlia, destinata a prendere il suo posto al vertice della ditta di famiglia, una notissima concessionaria di auto di Palermo, l’imprenditore Antonino Riolo decise di rivolgersi a chi, in città, contava davvero. E così andò dal boss Nino Rotolo, a capo della cosca di Pagliarelli, per raccomandargli la primogenita, Iolanda, che stava per accingersi a costruire una nuova sede della società. Il terreno era già stato acquistato e la ragazza era stata avvertita che, per la scelta delle imprese che avrebbero dovuto eseguire i lavori, si sarebbe dovuta affidare al boss. In questo modo tutti sarebbero stati accontentati: la cosca, che avrebbe imposto le sue ditte e lucrato sul nuovo business, il commerciante che avrebbe potuto contare sulla protezione della mafia. Una storia emblematica dei rapporti tra imprenditoria e criminalità organizzata, emersa dall’ultima indagine della polizia che ha portato a 18 arresti, che la dice lunga su quello che il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, definisce “il tessuto infetto” della città: un’espressione suggestiva che descrive le commistioni tra le cosche e l’economia. La ricostruzione dei rapporti perversi tra la mafia e imprenditoria, sempre più spesso socie in affari, questa volta parte da lontano, dal box in cui il boss Nino Rotolo, nel 2005, disquisiva di pizzo, affari e politica, non sapendo di essere intercettato. Conversazioni che hanno permesso di svelare i sistemi attraverso i quali l’organizzazione ha assunto e mantenuto il controllo di un intero ciclo produttivo, quello del mercato edilizio: dalla fase di acquisto dei terreni, alla gestione delle cave di inerti, all’imposizione delle imprese addette a tutti i comparti produttivi, sino alla fase di smaltimento dei materiali di risulta nelle discariche, con interessi che si proiettavano anche sui lavori finalizzati all’esecuzione dei lavori per la realizzazione di un termovalorizzatore a Bellolampo, sede della discarica cittadina. I boss palermitani – tra i quali Rotolo, Antonino Cinà, fedelissimo dei corleonesi di Totò Riina e Salvatore Lo Piccolo arrivavano a imporre ad alcuni accreditati studi professionali di consegnare l’elenco dei lavori più importanti in corso di progettazione, in modo da effettuare una cernita preliminare di quelli da riservare all’organizzazione. La penetrazione all’interno nel settore degli appalti pubblici e privati veniva realizzata mediante imprenditori, alcuni dei quali controllavano consorzi operanti in campo nazionale e numerose società di primo piano del mercato palermitano: soci dei capimafia, riciclatori o bracci operativi fiduciari. Tra loro nomi noti come quello di Francesco Lena, imprenditore del settore vinicolo con un marchio tra i più conosciuti a livello internazionale, o Salvatore Sbeglia, costruttore già condannato per mafia, stavolta finito in carcere insieme al fratello e ai due figli. L’inchiesta, inoltre, ha portato pesanti ripercussioni patrimoniali per le cosche: il gip, accogliendo l’istanza della Procura, ha infatti disposto il sequestro preventivo di aziende, imprese e immobili per centinaia di milioni di euro.

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