PALERMO– E se il New York Times cominciasse a occuparsi di Palermo, dopo le sue vacanze romane, con annessa campagna puntata sul degrado della Capitale? E se piombasse nella rassegnata estate di questa nostra città incivile? E se catalogasse la documentazione dello sfascio che le suggestioni del ‘sarà bellissima’ non sanano: il cassonetto immalinconito, la lattina vuota e abbandonata, il mare color dell’urina, le sparse feci canine, il foglietto di carta che svolazza sopra un oceano di munnizza?
Immaginiamolo, dunque, mentre atterra a Palermo il fantomatico reporter giunto dalla fine del mondo. Probabilmente sarebbe sollevato, all’arrivo, nel rimirare l’intitolazione dello scalo ai nomi venerati di ‘Falcone e Borsellino’. Penserebbe alla virtù della memoria. Non saprebbe – nessuno lo immagina mai oltre le colonne d’Ercole della nostra finzione – quanta ipocrisia si celi dietro due martiri coperti dalla polvere, cavati da un ripostiglio di muffa, spolverati solo in occasione degli anniversari, come posateria d’argento di un tempo nobile.
Subito l’orecchio di quel segugio coglierebbe lamenti strazianti dagli imbarchi, sarebbe colpito da voci di inferno dantesco. Si frigge per le alte temperature in certe zone del ‘Falcone e Borsellino’. L’arcano lo ha già svelato LiveSicilia: “Il numero di utenti in questo periodo è elevatissimo – hanno spiegato solertemente dalla Gesap, la società che gestisce l’aeroporto – e le porte si aprono a distanza di pochissimi secondi, facendo inevitabilmente entrare il calore. E’ un’estate particolarmente calda, con picchi altissimi”. Toh, caldo e turisti nei mesi estivi di Palermo. E chi l’avrebbe mai detto? Fortunatamente , c’è chi non si è fatto fregare dall’imprevisto. “Per questo Gesap ha già acquistato le nuove porte girevoli, che permettono di contenere l’aria fresca nello scalo”.
L’ospite americano prenderebbe un taxi; inizierebbe il suo viaggio verso la città. Dopo pochi chilometri scorgerebbe i primi cumuli di rifiuti che noi indigeni – da sempre attratti da una dimensione d’intimità con l’orrore – chiamiamo affettuosamente munnizza.
Munnizza che straripa dai cassonetti. Munnizza per strada. Liquami di munnizza. E un odore mefitico. La puzza di Palermo che sta diventando proverbio.
Una volta al centro a caccia di un albergo, ecco il resto dello spettacolo. Strade sbriciolate, sbrindellate dai cantieri senza soluzione di continuità. Ruspe ovunque, spesso ferme. Siepi di concertina che separano i tanti fossati da scarni viottoli percorribili. E buche, come se piovessero bombe.
Immerso nella scenografia dell’assurdo, un popolo imprigionato in macchina, in una maionese impazzita di lamiere e clacson. Intrappolato da scelte politiche e amministrative che vellicano l’idea di punire gli automobilisti, per educarli al grande dogma della pedonalizzazione, in omaggio all’ideologia da Soviet della camminata a piedi. Intendiamoci, le pedonalizzazioni intelligenti vanno benissimo, invocano un futuro invitante. Ma quaggiù rappresentano il gulag dei malcapitati che – nell’abbandono dei servizi alternativi – prendono l’automobile per andare a lavorare, non possedendo momentaneamente un elicottero.
E ancora munnizza vedrebbe, l’amico d’oltremare, e certi personaggi pittoreschi a guardia dei posteggi con cappello e fischietto. Magari li scambierebbe per impiegati comunali delegati alla salvaguardia del decoro. Poi forse qualche anima caritatevole gli spiegherebbe che trattasi di posteggiatori abusivi che presidiano le strisce blu della sosta a pagamento con cipiglio severo, intoccabili. Sicché il proletario che non dispone dell’elicottero e deve pur parcheggiare sarà costretto a versare il doppio obolo: alla striscia blu e per il caffè del panzone col cappellino (e fischietto) di turno. La duplice tenaglia della legge e dell’abuso: mirabile descrizione di un contesto borbonico.
Chissà se tenterebbe un giro nelle località marittime – l’amico newyorchese – se pagherebbe un supplemento al taxi per una capatina a Mondello. Così vedrebbe la borgata – il fiore all’occhiello dell’estate – ricolma della sua di munnizza, strangolata dalle marmitte, vessata dai parcheggiatori, stravolta e sporca. Una summa del nostro orrore quotidiano che in inverno si trasforma in occasione di surf acquatico con gli allagamenti propiziati da quattro gocce di sempre inaspettata pioggia.
Tornerebbe in centro, il tramortito viaggiatore, appena in tempo per notare le bancarelle che invadono i marciapiedi. Una volta naufragato nella hall dell’albergo, comincerebbe a leggere quotidiani online e cartacei per trovarsi difronte alla suprema mistificazione. Leggerebbe le interviste del sindaco e del suo assessore di riferimento mentre magnificano ‘gli straordinari risultati ottenuti’ e l’immancabile percorso arabo-normanno dell’Unesco che è una lucente corolla su una montagna di immondizia, tacendo del resto.
Infine, il cronista sopravvissuto del NY Times, scriverebbe il suo articolo monumentale, con l’incipit su questa nostra bizzarra politica che per propagandare un meraviglioso domani ha bisogno di infliggere un terribile oggi. Ci permetteremmo umilmente di suggerire il titolo: “To forget Palermo”. Sì, dimenticare Palermo.