Regionali, ci vuole la riforma - Live Sicilia

Regionali, ci vuole la riforma

Occorre una riforma che stabilisca davvero, e non per finta come è adesso con improprie commistioni, una effettiva distinzione tra funzioni d’indirizzo, in capo al potere politico, e funzioni di gestione, di pertinenza dell’apparato burocratico.

Pure stavolta, al pari della settimana scorsa con l’articolo sulla riforma della scuola, esprimerò alcune considerazioni che potranno suscitare reazioni animate e contrastanti. Nello specifico di ciò che tratteremo, reazioni di chi si è sentito colpito alle spalle dal proprio datore di lavoro e non è disponibile, nel momento della rabbia e della delusione, ad ascoltare oltre. Mi riferisco a quanto accaduto sul fronte delle norme che hanno interessato il personale regionale, esitate dal parlamento siciliano in sede di manovra finanziaria e di bilancio, e cioè, in particolare, ai prepensionamenti con forti penalità e all’adeguamento del trattamento pensionistico, e di vari istituti, alla normativa statale. Posso affermare che non è questo il tema vero senza provocare una levata di scudi?

Se quelle disposizioni legislative hanno violato diritti acquisiti o sono entrate a gamba tesa e unilateralmente in un campo demandato alla contrattazione collettiva, ci penseranno la Consulta e i giudici di merito e di legittimità a spazzarle via. No, a questo punto il tema vero è un altro e nessuno degli inquilini di Palazzo dei Normanni e di Palazzo d’Orleans ne ha fatto lontanamente cenno mentre, in una cupa celebrazione del funerale definitivo dell’autonomia, in aula si recitava il solito copione del gioco delle parti con performance attoriali che nemmeno nelle maggiori accademie teatrali. Eppure è la radice della mortificazione costante che subiscono i dipendenti regionali, quelli bravi, quelli che non guardano l’orologio, quelli che hanno fatto della legalità e del servizio al cittadino il proprio vangelo laico, e sono tantissimi: una radicale riforma della pubblica amministrazione regionale. Una pubblica amministrazione, l’attuale, che non è in grado di elevare la qualità della vita dei siciliani, di contribuire allo sviluppo culturale, sociale ed economico della nostra Isola, e non per colpa dei suoi dipendenti.

Se i nostri nonni, con saggezza antica senza tempo, sentenziavano che “u pisci feti sempre ‘ra testa”, il pesce puzza sempre dalla testa, un motivo ci deve essere. Qui sta la frustrazione massima, la regina di ogni frustrazione. Occorre una riforma che stabilisca davvero, e non per finta come è adesso con improprie commistioni, una effettiva distinzione tra funzioni d’indirizzo, in capo al potere politico, e funzioni di gestione, di pertinenza dell’apparato burocratico; con la quale gli alti dirigenti, i componenti di delicate commissioni e gli amministratori di ospedali, società partecipate, o comunque sotto il controllo della Regione, siano scelti per comprovate competenze, attraverso rigorose selezioni, e non perché vicini al politico di turno; con la quale siano utilizzate al meglio le risorse umane disponibili, evitando il ricorso a consulenze costose per l’erario ma convenienti per alimentare bacini elettorali, invece di ignorarle sistematicamente, salvo poi ad avere la brillante intuizione di indire concorsi per laureati in materie giuridiche ed economiche, un’ulteriore mortificazione per chi dentro l’amministrazione tali titoli li possiede “inutiliter”; con la quale si dica basta alle nicchie dorate come gli uffici di gabinetto, la cui composizione è oggetto di trattative estenuanti tra partiti e capicorrente, dove a parità di lavoro con i colleghi “meno fortunati” si è pagati con un’indennità aggiuntiva; con la quale sia garantito il diritto alla carriera, negato da decenni, e il riconoscimento di “premialità” per i più meritevoli con valutazioni serie.

Non se ne discute, i sindacati stessi sono troppo impegnati nelle loro divisioni e nella tutela del “poco, ma uguale per tutti”. Nel privato, spesso richiamato dai detrattori dell’impiegato regionale, è così? No, nel privato non è irrilevante la qualità della prestazione resa, nel privato vengono offerte opportunità di avanzamento, nel privato ogni tanto la pacca sulla spalla, con un bel “bravo!”, la ricevi, nel privato non serve essere amico di chi comanda se non porti profitti con le tue doti e il tuo estro. Chi merita fa carriera e guadagna di più. Chi non merita, chi non è capace, viene assegnato a una mansione inferiore o, addirittura, viene licenziato.

Solo così, bandendo il grigio dagli uffici e dando un colore alle cose, si motivano dirigenti, funzionari e impiegati a dare il massimo. Gratificandoli, rispettandoli, considerandoli. Sono per la privatizzazione? No, sono per il pubblico che funzioni con innovative politiche del personale, non limitate ai tagli, alle riduzioni, alle oggettive punizioni indistinte e deportazioni di massa fino a 50 km da casa. Purtroppo, se andiamo a monte, alla testa di cui al proverbio siciliano sopra citato, troviamo una classe politica che dovrebbe dare l’esempio, ma la musica è ben diversa, lo sappiamo. L’esempio, fatte salve le dovute eccezioni, non lo dà affatto, i nostri politici lavorano poco, producono pochissimo e sono pagati tantissimo, navigando nel mare dei privilegi e delle laute indennità, con annessi vitalizi e pensioni consistenti.

Complessivamente incapaci di dare indirizzi programmatici coerenti, di spendere proficuamente il denaro disponibile, ordinario ed europeo, per fare uscire dal baratro la Sicilia. Una Sicilia ridotta ormai a una terra rotta, spezzata, separata, e non per i crolli scandalosi delle strade e delle autostrade. Non abbiamo infrastrutture degne di tal nome, non abbiamo un piano per lo smaltimento dei rifiuti trasformandoli in ricchezza, non abbiamo un piano energetico importante, non abbiamo una sanità su livelli decorosi, nonostante oasi d’eccellenza e l’impegno spesso eroico di sanitari e parasanitari, non abbiamo idee sull’ammodernamento tecnologico, non abbiamo una progettazione adeguata per dare ai giovani che studiano, con sacrifici economici rilevanti delle famiglie, nuovi e concreti orizzonti di lavoro. Nulla, il nulla supremo. Una terra fredda, buia, avvolta da nebbie dense e scure in cui conviene che non si distingua con nettezza il bene dal male, il mafioso dall’antimafioso, il fannullone dal lavoratore, il meritevole dal non meritevole, in cui predomina tuttora la sottocultura del favore. Una terra di morte, non solo per la presenza della mafia, dove è stata uccisa la speranza, l’entusiasmo, la certezza che domani andrà certamente meglio di oggi. Però, siamo noi siciliani gli artefici del nostro destino. Vediamo quanti di costoro che abitano dentro i palazzi del potere saranno mandati a casa e quanti rimarranno perché qualcuno, indigeno non proveniente da Marte, non si è stancato di votarli.


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