Renzi si è fermato a Messina - Live Sicilia

Renzi si è fermato a Messina

"A livello nazionale, piaccia o non piaccia, il premier sta segnando una differenza col passato. La Sicilia, invece, è imprigionata nell'imbarazzante inadeguatezza delle istituzioni regionali. Il Pd siciliano non tema di perdere un'identità: non ne ha ancora una".

PALERMO – Probabilmente questo articolo mi procurerà qualche astiosità o risentimento, pazienza se è il prezzo da pagare per esprimere liberamente il proprio convincimento. Una premessa. A livello nazionale si sta nettamente delineando, piaccia o non piaccia, la differenza tra l’attuale stagione renziana e quelle precedenti, di centrosinistra e berlusconiane. Matteo Renzi ci sta abituando a una novità, comunque la si pensi, si parteggi per lui o lo si osteggi con forza, cioè a un governo che decide e agisce, che vuole scommettersi, dinanzi al Paese e all’Europa, su riforme impantanate da anni e interventi strutturali in settori sensibili. Si può essere d’accordo o meno nella sostanza delle scelte, ma finalmente qualcosa si muove.

L’Italia per troppi anni è stata ostaggio di un fronte conservatore, sovente colorato di rosso, vocato all’immobilismo o, se pensiamo a una certa sinistra salottiera o perennemente litigiosa, all’incartamento e agli infiniti dibattiti. Ed è stata pure ostaggio, come in una tenaglia, di una miriade di interessi particolari, di lobby e corporazioni, in buona parte approdati al berlusconismo, che hanno bloccato il cambiamento lasciando il Paese in una condizione di arretramento e di scarsa potenza competitiva rispetto ai paesi dell’eurozona che procedono veloci.

Renzi, inoltre, ci sta dimostrando che le leadership si costruiscono non sui posizionamenti ideologici e sui logori riti di partito, quanto piuttosto sulla capacità di governare il Paese, le regioni, le città e sulla capacità di un partito, soprattutto se sfiora il 40% dei consensi, di smettere di guardarsi l’ombelico e rivolgere il proprio sguardo lì dove esiste la vita in carne e ossa, i bambini, i giovani, gli anziani, le famiglie, le imprese, spesso alle prese con doveri opprimenti e diritti mancati.

Tutto ciò, arriviamo a casa nostra, si ferma allo stretto di Messina e non sbarca in Sicilia che rimane imprigionata nell’imbarazzante inadeguatezza delle istituzioni regionali e di una classe politica avvertita dai cittadini, a ragione, come una casta che intende auto conservarsi, indifferente alla sofferenza della gente, carica di privilegi e corsie preferenziali. In particolare, il Partito Democratico non riesce a trovare una sintesi unitaria, ponendo fine ai continui scontri tra le varie correnti e sotto correnti, che rappresenti una visione alta della politica e una risposta di governo e programmatica ai mille drammi, sul piano sociale ed economico, che la Sicilia e i siciliani soffrono da decenni.

Ultimo esempio, la Leopolda che si sta svolgendo in queste ore a Palermo. Nonostante sia un evento straordinariamente partecipato senza bandiere e richiesta di appartenenza, nonostante sia organizzato in modo da dare, con 40 tavoli di confronto, centralità a temi concreti da cui scaturiranno proposte di governo, s’è trovato il modo di farne occasione di ulteriori polemiche. Alla sua vigilia è scoppiata la rivolta dei civatiani sui nuovi ingressi di esponenti di Articolo 4 e di deputati provenienti da FI e da MPA, addirittura si paventa la costituzione di un nuovo soggetto “a sinistra del PD”, e sono state espresse critiche sulla natura stessa della Leopolda accusata di essere la solita kermesse di una corrente, anzi di una sotto-corrente, la renziana in salsa faraoniana.

Io non credo che il PD, ad oggi, sia in grado di vantare un’intima coerenza identitaria che le new entry, al netto ovviamente del non trattabile profilo etico dei protagonisti, potrebbero compromettere. La questione vera è un’altra, ritrovare insieme la strada della buona politica nell’esclusivo interesse del bene comune. Il furore rivoluzionario improvvisamente esploso e le critiche avanzate sarebbe stato preferibile si manifestassero, già da tempo, contro la lottizzazione del partito basata sui pacchetti di tessere, con le guerre perenni tra i notabili, e per stigmatizzare l’ambiguo atteggiamento nei confronti di un governo regionale da mandare a casa attorno al quale, al contrario, si sono consumate, dando sponda alla nascita del Crocetta ter, manovre di bottega finalizzate all’accaparramento di posizioni di potere.

Forse, invece di dividersi, usando come pretesto per raggiungere altri scopi un evento che segue la logica “del fare”, sarebbe meglio dare il proprio contributo in uno spirito costruttivo per la Sicilia che vogliamo, e trasformare i pregiudizi a priori in giudizi sul prodotto finale della due giorni della Leopolda, sui risultati effettivamente conseguiti. Mi viene in mente il Gattopardo, quando il principe di Salina confida al cavaliere Chevelley di Monterzuolo che per i siciliani non è peccato il fare bene o il fare male, ma il fare.


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