ROMA – Un provvedimento amministrativo obbliga Report a consegnare i documenti, svelando di fatto le fonti, che hanno consentito la realizzazione di una inchiesta giornalistica nei confronti di alcuni professionisti ritenuti vicini alla Lega. La politica, però non c’entra.
La sentenza rischia di essere un grimaldello, amministrativo, che si scontra con la tutela delle fonti e l’obbligo del segreto professionale.
La Rai come il Catasto
La “RAI – ha scritto il Tar – dovrà consentire al ricorrente, entro giorni trenta dalla comunicazione o notificazione (se anteriore) della presente sentenza, l’accesso agli atti e ai documenti”.
In pratica, per ottenere l’accesso alle fonti e ai documenti che hanno consentito la realizzazione dell’inchiesta giornalistica, della quale non è in discussione la veridicità, il Tribunale amministrativo ha trattato la Rai come una pubblica amministrazione. Nulla da contestare, su questo, il problema sta nel prodotto che si trova al centro della richiesta. Sono le fonti e i documenti di un’attività di inchiesta giornalistica: non si tratta di un certificato catastale o del curriculum di un dirigente. Né della procedura per affidare un appalto della Rai.
Cosa c’è in ballo
In ballo c’è la possibilità dell’esercizio dell’attività giornalistica, della quale Report è, con la guida di Sigfrido Ranucci, uno degli esempi più importanti del panorama nazionale. Report si conferma emblema del “servizio pubblico” giornalistico, non degli uffici che rilasciano, quando li rilasciano, documenti sugli immobili.
Non ne vogliano gli instancabili burocrati, tra i quali non si contano, scherzi a parte, grandi lavoratori. Quando si parla di informazione entrano in ballo i principi costituzionali, che non possono essere scalfiti, né messi in gioco, da un provvedimento amministrativo.
Report farà ricorso al Consiglio di Stato. La battaglia per la libertà di informazione e per la difesa dell’indipendenza dei giornalisti, non è solo di Report o di Ranucci. È una battaglia che riguarda tutti, nessuno escluso.