Rifiuti connection, 'connivenze' per la discarica di Catania

Rifiuti, i burocrati della Regione e le ‘connivenze’ per la discarica di Catania

L'atto d'accusa della Procura etnea

CATANIA – Fiumi di soldi, autorizzazioni irregolari e ‘connivenze’ tra imprenditori e burocrati della Regione. L’atto d’accusa della Procura di Catania passa, nella maxi inchiesta sui rifiuti di pochi giorni fa, dalla discarica che si trova tra Motta Sant’Anastasia e Misterbianco. In ballo permessi “fantasma” e rifiuti di ogni tipo, abbancati “senza controlli”.

Rifiuti, l’inchiesta e l’atto d’accusa

Un’inchiesta poderosa a cavallo tra quasi 15 anni di autorizzazioni, procedure complesse che passano dai piani altissimi della Regione e che avrebbero tenuto in vita quella che appare, dagli avvisi recapitati ai 34 indagati dal Pm Fabio Regolo, come una discarica sostanzialmente abusiva.

La Procura ha rilevato difformità in quasi tutti i passaggi burocratici, sostenendo l’esistenza di omissioni dei dirigenti regionali che avrebbero avallato le carenze della grande discarica di Misterbianco, gestita dalla famiglia Proto. Ma gli avvisi notificati riguardano la fase iniziale di un procedimento, gli indagati avranno modo di far conoscere le proprie ragioni ed è presto per giungere a conclusioni affrettate.

L’ipotesi della “connivenza”

La grande discarica etnea sarebbe stata gestita dalla famiglia Proto con la “connivenza” di Gianfranco Cannova, funzionario dell’assessorato regionale Territorio e Ambiente e Rup dei procedimenti Aia e Vincenzo Sansone, dirigente del servizio 2 Vas/Via e del dipartimento Ambiente regionale

L’impianto di contrada Tiritì sarebbe stato “sprovvisto di valido provvedimento autorizzativo all’esercizio di discarica”, con un lungo elenco di presunte violazioni di leggi e autorizzazioni. Sansone e Cannova avrebbero consentito a Proto l’ingresso in discarica di rifiuti non compatibili, ovvero “liquidi, fanghi acquosi, miscele di oli e grassi, pneumatici e veicoli fuori uso”.

Nella discarica sarebbero stati depositati scarti di ogni tipo, escludendone solo quelli “pericolosi”, senza che fosse stato concluso il procedimento di collaudo, senza parere di conformità del progetto. L’attività di abbancamento dei rifiuti sarebbe avvenuta irregolarmente fin dal primo momento, senza le autorizzazioni necessarie e sarebbe proseguita, anche dopo la scadenza dell’Aia nel 2011, consentendo, per esempio, di incassare più di 15 milioni di euro con le 200 mila tonnellate di monnezza depositate in meno di un anno tra il 2012 e il 2013.

Omissioni dei funzionari pubblici

I funzionari non avrebbero rilevato numerosi carenze “progettuali e gestionali”, ci sono pagine e pagine di presunte violazioni contestate dai magistrati, dal dimensionamento della rete di drenaggio alle singole caratteristiche funzionali e costruttive.

I gestori non avrebbero monitorato la produzione di percolato, violando le leggi e non intervenendo durante i malfunzionamenti.

Le contestazioni degli inquirenti riguardano anche la fase successiva alla chiusura della discarica Tiritì, quando è iniziata la gestione “post-operativa”. Antonino Rotella, dirigente del servizio 8 e responsabile Emissione Aia e Francesco Lombardo, funzionario del servizio Autorizzazione impianti e gestione dei rifiuti, “in concorso morale” con Salvatore Cocina, dirigente del dipartimento regionale Acque e rifiuti fino al 2020, avrebbero autorizzato il progetto di chiusura della discarica “in violazione di legge, omettendo i dovuti controlli sulla stabilità della discarica, lo smaltimento delle acque meteoriche, sull’accertamento della falda”.

La falda “sparita”

Sotto la discarica, a 20 metri di profondità, ci sarebbe una falda acquifera, come ha confermato il consulente dei Pm, ma a leggere i capi d’indagine sembra una falda fantasma. I magistrati contestano che sarebbe sparita dalle progettazioni, collocando “artatamente 10 piezometri a una profondità insufficiente”.

Le contestazioni dell’impianto di pretrattamento

Non sarebbe conforme alla legge l’impianto di pretrattamento dei rifiuti, gli scarti sarebbero stati “trattati abusivamente con la connivenza” dei funzionari pubblici Cannova, Sansone, Sergio Gelardi, ex dirigente del Territorio e Ambiente e Natale Zuccarello, dirigente del servizio 1 dell’assessorato Territorio e Ambiente.

Un impianto obbligatorio, quello di pretrattamento dei rifiuti, ma il progetto sarebbe stato sprovvisto di carta geologica, idrogeologica, indicazione delle sorgenti, zone di esondazione e Cannova avrebbe consentito a Proto di abbancare monnezza anche con l’impianto non in funzione.

Lunghissimo l’elenco delle contestazioni a carico dei dirigenti regionali.

Contestazioni simili anche nella gestione della discarica Valanghe d’Inverno, dove sarebbero stati depositati “rifiuti agrochimici, fanghi contenenti adesivi e sigillanti, fanghi di pulizia caldaie, pneumatici, rifiuti combustibili, rifiuti prodotti dalla tempra di rifiuti vetrificati e rifiuti destinati al riciclo”.

Il caso della particella

La magistratura dà voce, nelle contestazioni, a una delle battaglie storiche del comitato No-discarica di Motta Sant’Anastasia, quella contro l’occupazione, da parte dei gestori della discarica, della “particella 131, sottoposta a vincolo idrogeologico”. Una particella fantasma, di cui non c’è traccia nella relazione descrittiva allegata all’Aia. I rifiuti sarebbero stati abbancati senza progetto esecutivo e senza approvazione del piano finanziario.

La violazione delle distanze dai centri abitati

Nonostante i pareri contrari del sindaco di Motta Sant’Anastasia, la discarica ha continuato ad accumulare rifiuti, sebbene “non poteva essere destinataria di alcuna autorizzazione”, trovandosi a una distanza inferiore a 3 chilometri dal centro abitato. Per questo i magistrati hanno creato una specifica contestazione, che coinvolge funzionari regionali e imprenditori, da Cocina a Proto.

Rotella e Lombardo avrebbero dichiarato la conformità dell’impianto “al vigente strumento urbanistico del Comune di Motta sant’Anastasia”, avrebbero consentito l’ingresso di rifiuti non trattati preventivamente, come previsto dalla legge. I funzionari regionali avrebbero omesso i controlli anche sull’integrità delle impermeabilizzazioni, il dimensionamento delle pompe, il sistema di stoccaggio.

Anche in questo caso, pagine e pagine di contestazioni elevate dai magistrati, tanto che gli indagati avrebbero “indotto in errore” anche l’ex presidente della Regione Rosario Crocetta, che avrebbe disposto il conferimento nella discarica “abusiva” derogando l’aia e autorizzando l’ingresso di più di mille tonnellate al giorno di rifiuti.

Rifiuti, l’inchiesta e i nomi di tutti gli indagati


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