CATANIA – Un patrimonio da 20milioni di euro è stato sequestro agli eredi di Vincenzo Guglielmino, deceduto nel 2018, imprenditore ai vertici di colossi dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Il provvedimento è stato emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale etneo su proposta del direttore della Dia, Giuseppe Governale.
Il centro catanese della Direzione investigativa antimafia ha analizzato movimenti bancari e bilanci societari, riuscendo ad accertare “la sproporzione tra i redditi dichiarati e l’imponente patrimonio nella disponibilità del Guglielmino, fittiziamente trasferito ai suoi familiari molto prima del suo decesso, proprio per eludere la possibilità di applicazione delle misure di prevenzione a suo carico”.
LE SOCIETÀ – Il valore del sequestro, che colpisce la E.F. Servizi Ecologici Srl e la G.V. Servizi Ambientali Srl, numerose unità immobiliari, un opificio, terreni, autoveicoli, rapporti bancari e finanziari, è stato prudenzialmente stimato in 20 milioni di euro.
LE ACCUSE – Guglielmino, nel 2017, era stato arrestato nell’ambito dell’operazione “Piazza Pulita”, poiché accusato di tentata estorsione e danneggiamento aggravati dal metodo mafioso, commessi nei confronti della Roma Costruzioni S.r.l., società che gestiva il servizio di raccolta rifiuti a Noto (SR).
L’anno dopo venne nuovamente arrestato dalla Dia di Catania con l’operazione “Gorgoni”, per associazione mafiosa, concorso in corruzione e in turbativa d’asta, nonché intestazione fittizia di beni.
Sulla base delle indagini, gli inquirenti hanno tracciato il suo profilo, considerandolo volto imprenditoriale del clan Cappello, “sottolineando altresì – scrive la Dia – le camaleontiche capacità della mafia di servirsi di affidabili ed insospettabili imprenditori per il raggiungimento dei propri obiettivi illeciti”.
Un rapporto di scambio con il clan Cappello, dal quale Guglielmino avrebbe ricevuto protezione, ma anche sostegno durante importanti appalti pubblici, in cambio di “sostentamento economico”.
“Il rapporto – continua la Dia – era ormai divenuto così stretto che l’imprenditore, conoscitore delle gerarchie interne e dei meccanismi di funzionamento del clan, si rivolgeva al boss Salvatore Massimiliano Salvo addirittura criticandolo per la sua inclinazione ad accerchiarsi di affiliati di scarso valore e rimpiangendo i precedenti boss Giovanni Colombrita, Rosario Litteri, Sebastiano Lo Giudice e Orazio Privitera”.