PALERMO – Ossessionato dal carcere duro. Totò Riina conferma che il 41 bis è l’incubo dei boss. Nel nuovo capitolo delle sue intercettazioni in carcere, il capo dei capi se la prende con Angelino Alfano. Stavolta è lui il bersaglio.
Il dodici settembre scorso Riina si sfoga mentre passeggia con il suo compagno di socialità, il boss pugliese Alberto Lorusso, nel carcere di Milano Opera: “Perché quel disgraziato di ministro dell’Agrigentino, il ministro dell’Interno, è proprio accanito con questi quarantunisti. E’ una canaglia, è una canaglia. Lo aggrava sempre, sempre che parla del 41. Sta facendo tutto per il carcere duro. Glielo do io a lui il duro, il duro lo abbiamo noi qua dentro. Quando vieni lo trovi sempre duro disgraziato… mi scusi se parlo magari vastaso… ma cosa volete da queste seicento persone, volete fare pagare la pena di tutti i carcerati a queste seicento… non siamo tutti carcerati?”.
Pochi giorni dopo Riina torna ai suoi temi più cari. Quelli in cui autoincensa per avere commesso i crimini peggiori. Come ideare la strage di Capaci. È con l’assassinio di Falcunazzu (e così che Riina chiama, sprezzante, il magistrato ucciso assieme alla moglie e agli agenti di scorta) che ritiene di avere toccato l’apice della sua carriera criminale. Tanto da autodefinirsi il re del cielo: “Falconazzu trovò l’aquila per strada… ha trovato l’aquila… il re del cielo… trovò la strada… minchia quello gli ha detto… io ti porto docu… sotto terra… tra me e me i ragionav… ma questo come è che non si ravvede? Perciò è inutile che parliamo, non si ravvedono”.
Anche il suo compagno di passeggiate non perde occasione per tessere le lodi del capomafia corleonese. Lorusso rimarca la generosità di Riina (“Voi potevate circolare perché le persone vi amavano, vi rispettavano, vi volevano bene”) per criticare il comportamento di Bernardo Provenzano, “un tipo che teneva la tasca cucita con il fil di ferro”. E Riina ne condivide il pensiero: “Quello camminava con la tasca cucita cu ferru filatu… Poi quando sono tornato da carcerato…gli ho detto siete una massa di miserabili e meschini. Li ho presi per miserabili e meschini…mi avete fatto morire di fame dentro il carcere, vigliacchi che non siete altro”.
Quindi, parla del processo sulla Trattativa in cui egli stesso è imputato: “Questo processo finisce così… rimanere con gli occhi pieni e le mani vuote. Questo c’è… ma che devono sperimentare? Vogliono fargli cantare delle cose, vogliono fargli dire delle cose. Gli ho detto all’avvocato: che vogliono fare i processi con tutto quello che pensano loro? Perché loro tutte cose pensano – aggiunge – Però non ci funzionano, non ci funzionano. In questo processo… tutti teoremi, tutti teoremi di loro, tutti trovate di loro”. “Non hanno niente”, dice Riina. “Perché sono condannato? Per tutti questi teoremi che fanno loro – aggiunge – tutte queste calunnie che fanno loro… tutte queste calunnie che fanno loro… gran calunniatori”.
Nelle conversazioni intercettate dagli investigatori della Direzione investigativa antimafia, il padrino corleonese cita, infine, l’agguato fallito al commissario di Mazara del Vallo, Rinò Germana. Nel settembre del 1992, il poliziotto e fidato collaboratore di Paolo Borsellino scampò al piombo lanciandosi in mare sulla strada che collega Mazara alla contrada di Tonnarella. Così Riina ricorda quel giorno: “Minchia questo Germanà. Il commissario sono andati ad ammazzarlo, gli hanno sparato che lo volevano ammazzare… sparatore fasulli… minchia si salvò (ride). Nell’acqua con tutti i pantaloni, tutte le cose nell’acqua… questa non la sapevate, non la sapeva nessuno…. le armi mio cognato e questi…. bravi ragazzotti c’erano. C’erano questi fartelli Graviano… erano picciriddi… gli è sembrata una cosa troppo facile”