PALERMO – Silvana Saguto, sostiene l’accusa, aveva trasformato “il servizio pubblico di tutela in un privilegio privato”. Tra i reati che i pm di Caltanissetta ipotizzano ai danni dell’ex presidente della Sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo c’è anche l’abuso d’ufficio. Basta leggere le dichiarazioni raccolte dai finanzieri della Polizia tributaria di Palermo per rendersi conto che nella migliore delle ipotesi ci si trova di fronte ad un malcostume diffuso fra autorità e personalità. Gli uomini delle scorte allargano le braccia e ammettono di subire una sudditanza psicologica.
Saguto fino a pochi mesi fa godeva di una protezione di terzo livello: viaggiava a bordo di una Lancia Thesis blindata con autista giudiziario e doppia tutela, e un sistema di vigilanza generica radio-collegato all’abitazione. Terzo livello confermato anche a metà maggio scorso, quando lo scandalo era già esploso. A metà settembre il ministero dell’Interno, raccolte le informazioni del Comitato per l’ordine e la sicurezza convocato in prefettura, a Palermo, ha deciso che per garantire la sicurezza del magistrato sospeso dall’incarico si poteva scendere a livello IV che prevede una protezione depotenziata. Come dire: al di là delle gravi accuse che le vengono mosse non si può né sottovalutare né dimenticare che Saguto in passato ha sequestrato e confiscato i beni a soggetti mafiosi o a imprenditori che avrebbero fatto affari con i boss. Non sono mancate le polemiche, sollevate da alcuni parlamentari e, pochi giorni fa, dal sindacato Libertà e Sicurezza Polizia di Stato (LeS).
La legge è chiara: sulla blindata non possono essere trasportate persone diverse dal magistrato, fatta eccezione, in casi assolutamente straordinari, per gli stretti congiunti e conviventi. Deve essere il capo scorta a valutare la necessità “di contemperare due interessi configgenti: garantire la sicurezza della personalità scortata e cercare di non limitare la libertà individuale”.
Nel caso Saguto, però, il magistrato avrebbe scambiato la scorta per un servizio taxi da utilizzare per se stessa, per i parenti e per gli amici. Che venivano prelevati a casa e accompagnati in giro per la città. Senza contare, scrivono i pm nel decreto di sequestro, tutte le volte in cui la Saguto chiedeva agli agenti di sbrigare faccende che nulla avevano a che fare con il loro compito: dall’acquisto dei ricci per la pasta al roast beef, dal ritiro delle ricette dal medico alla consegna di frutta all’amico ex prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo; dal mangime per il cane al ritiro delle scarpe dal calzolaio.
In molti casi, come loro stessi hanno ammesso, gli uomini di scorta si turano il naso. È più agevole sbrigare le faccende per conto di un magistrato piuttosto che attivare il servizio di sicurezza per accompagnarle. Cosa diversa è quando, ad esempio, Saguto chiedeva loro, anche questo è accaduto, di accompagnare due amiche a casa dopo avere trascorso insieme la serata del Festino; oppure quando la blindata veniva utilizzata per ritirare un cestino in argento nella residenza del prefetto per portarla dal fioraio. Per questo genere di cose, sottolineano i pm, esistono i taxi, quelli veri e a pagamento, oppure i mezzi pubblici.
Leggendo le testimonianze degli uomini scorta del magistrato viene fuori un quadro sconfortante. Hanno ammesso di essersi ”adeguati ai desiderata di Silvana Saguto” non solo perché era “una consuetudine che le personalità scortate rivolgessero richieste relative ad incombenze esulanti i compiti istituzionali della tutela, ma anche per la sudditanza psicologica nei confronti del presidente”. “Vedevamo l’influenza e i rapporti privilegiati che aveva con i prefetti che nel tempo si sono succeduti, con i vertici di tutte le forze di polizia e con gli altri magistrati”, hanno raccontato, denunciando il malcostume: “Da moltissimi anni si sono sempre tollerati certi comportamenti delle persone scortate anche perché è capitato che venissero trasferiti ad altri incarichi alcuni colleghi che in passato si erano rifiutati di assecondare le volontà delle persone scortate”.
La paura di essere trasferiti, dunque, li avrebbe costretti a tacere di fronte allo svilimento della loro professionalità, fino alla trasformazione del servizi di tutela in un “privilegio privato”.